Nota di lettura a "Amor Mundi" di Lucrezia Lombardo
È una vivisezione dei nostri tempi quella che trova spazio tra le pagine di Amor Mundi (Eretica, 2021), ultima raccolta della poetessa aretina Lucrezia Lombardo. Ma, sebbene il sentimento d’instabilità e di mancato posizionamento nel mondo dell’io poetante emerga con forza, è chiaro ben presto al lettore che le poesie di Lombardo nascono da un luogo e da un tempo precisi. Ce lo
dicono i francescani che passeggiano tra un a capo e l’altro, le chiese giottesche invase di silenzio, i sampietrini su cui al lettore sembra di potersi incamminare mentre legge questi versi protetto da affreschi incombenti, immagini che non stanno mute, ma parlano dell’esistenza. E il tempo, in questa raccolta, è quello scandito dalla vita: dall’infanzia e dalla fanciullezza passate, dalle notti di San Lorenzo miste ai pomeriggi di novembre, dalle sieste andaluse sulle «vette aride del sud» così come dai tramonti che scivolano verso le porte delle case.
Luoghi nel mondo e tempi nella vita: sono questi i punti da cui Lombardo ci parla tramite una poesia che si fa strada cautamente in questo mondo. Eppure, il nostro mondo, quello che emerge dai versi, è un paese delle meraviglie dai colori sbiaditi, un luna park invecchiato dove sembra andare in scena un incessante circo degli orrori, apparentemente privo di senso e certo lontano dalla fine. A questo presente, che non è possibile spiegare - «era questa la natura del presente: / il non saperlo comprendere, / il non riuscire a tenere saldamente / il passo col tempo a disposizione» - fa da contraltare la nostalgia di un mondo altro, forse perduto, certo passato, ma che ancora si può schiudere a chi sia abbastanza intraprendente da cercarlo.
Un mondo di bellezza e di senso che si rivela difficile da ritrovare. E questa difficoltà genera nella poetessa un vuoto spaventoso perché se portata alle estreme conseguenze risulta capace di instillare il dubbio che esista una verità, o più d’una, e che possa essere scovata, scavando sotto e dentro alla realtà che ci è dato vivere. È un vuoto ineffabile, che si agita sul baratro del nichilismo e viene propagandato da quelli che «cercavano il modo / per fare dell’esistenza una danza bacchica / che esaltasse la brevità.», ma è proprio a questi ingannevoli «predicatori di mondi» che Lombardo rivolge un’accusa senza ripensamenti: «Tutto il loro dire di polvere / è terra che torna alla terra».
La sua è una poesia ben diversa dalle parole di chi si arrende di fronte all’apparente assenza di un senso. Ed è forse anche per questo che si tratta di una poesia che non ha paura di ripetersi: ripetizioni di parole, di versi, di intere strofe non tanto per il gusto di dire qualcosa, ma soprattutto per la necessità di dirlo a qualcuno. Lombardo vuole farsi sentire e lo vuole fare senza edulcorare le sue parole che sono dure come il nocciolo delle cose e rumorose come un grido di sopravvivenza che deve raggiungere un orecchio amico e invitarlo a questa ricerca continua. La ricerca che è in fondo l’unico modo accettabile di pensare l’esistenza.
Quella di Lombardo è allora una poesia di sopravvivenza in cui è forte la necessità di dire e ancor più quella di farsi sentire affinché i versi non siano un canto consegnato al vento, ma uno scalpello nelle mani di un lettore-cercatore attento: altrimenti, come avrebbe detto Ovidio, scrivere sarebbe inutile, come danzare al buio.

L’alba accesa dei tuoi capelli
Nelle piccole cose in cui non so stare...
Ah, l’alba accesa dei tuoi capelli!
I carri girovaghi dei nostri ciechi cuori
e le domande insensate-
l’assillo di bianche allegrie...
Fiori di memoria
e interruzione:
abbiamo cessato di scalare le salite
dell’istinto misto a bagliori di lucidità.
Nelle piccole cose in cui non so stare....
Ah, l’alba accesa dei tuoi capelli!
I carri girovaghi dei nostri ciechi cuori e
delle menti insoddisfatte.
Ardemmo il mondo nella poca chiarezza e
assaporammo l’esistenza d’ogni foglia:
eravamo nel vortice di polvere
dell’alchimia d’una nascita.
Nelle piccole cose in cui non so stare
a dipingerci le pupille per far brillare il mondo.
L’alba accesa dei tuoi capelli,
il bisogno che tutto fosse migliore e
l’assillo di bianche allegrie...
La ripetizione serve anche a un altro scopo: notare quelle piccole cose in cui un senso fa capolino, a intermittenza. Così questa poesia trova spiragli di verità nei bagliori della luce, nei dettagli di una natura osservata minuziosamente al microscopio, nelle impronte lievi lasciate dal tempo sulla nostra vita. Lì, per dirla alla Montale, Lombardo indica «il punto morto del mondo, l’anello che non tiene / il filo da sbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità». E infatti in tono non dissimile descrive l’esperienza momentanea ma irrinunciabile dell’intuizione: «Per i sentieri m’inabisso / cercando l’attimo in cui m’abbagli / un sentire diverso / che sappia riconoscere / la sostanza comune che / soggiace in seno a tutte le cose: / grazia, / immediatezza, / mistico riconoscersi tra gli odori del bosco, voci altrui /mutate in cinguettii.»
Sono scoperte rese possibili grazie alla parola poetica che qui si svela appieno come parola originaria nel senso in cui punta all’origine, cerca nel mondo e fa dei nomi dati al mondo una chiave per aprire nuove prospettive capaci di dare un senso a quegli orrori che popolano il presente.
Insofferente al conformismo di un’epoca che rischia di chiudere gli occhi e accettare passivamente tutto ciò che accade, Lombardo tramite la sua poesia guida verso mete che non sono immediate e che pure possono essere raggiunge tramite ciò che è lì davanti ai nostri occhi, se solo siamo abbastanza intraprendenti da affrontarne l’indagine. È la «monotonia delle cose semplici, / il loro dolce riflesso di compiutezza, / l’andirivieni delle ore nell’affaccendarsi femminile/ e la morte, / la morte, / nient’altro che una cascata di viole selvatiche» a svelare allora – letteralmente sollevando il velo con cui siamo soliti guardare alle cose – quell’Amor Mundi che titola l’intera raccolta.
La foresta a Nord
E compresi che la bellezza
era qualcosa che riusciva a durare
al di là delle forme, oltre il tempo
e l’appassire della gioventù.
Era nello sguardo secolare
d’un uomo dalla forma di quercia
quel senso d’eternità e illimitatezza
che sospiravo.
Era nell’impetuosità delle acque
e nell’ombra fitta dei boschi
quel senso di pienezza
che coincide con le cose di questo mondo.
La bellezza precedeva ogni umana capacità
di comprenderla e di creare significati-
era nella goccia di pioggia
che rifletteva il piumaggio striato
della ghiandaia stanca
e assisa sul vasto ramo.
Dovevo imparare a riconoscere
ciò che la frenesia dei miei passi
aveva scansato.
Tutto quello che avevo calpestato e bruciato
per l’insoddisfazione di non riuscire a sentire,
di non poter comprendere,
era lì.
Ma per capire cosa sia Amor Mundi occorre fare un passo indietro nel tempo e immergersi nelle pagine di Quaderni e diari 1950-1973 di Hannah Arendt, tra quei pensieri in cui una domanda emerge con violenza prorompente: «perché è così difficile amare il mondo?».
È lo stesso quesito che i versi di Lombardo pongono e cui cercano di dare una risposta, passando attraverso questo amore per il mondo che riguarda in primis la necessità profonda di riconciliarsi con sé stessi per poi arrivare a scendere a compromessi con ciò che accade oggi così come con ciò che è accaduto ieri. Con quel mondo di contraddizioni in cui quotidianamente ci troviamo a camminare, tra benedizioni e orrori.
Per farlo però bisogna fermarsi e trovare un punto di osservazione sulle cose, da lì aguzzare uno sguardo critico ma non disincantato, consapevole ma non arreso: lo sguardo di chi spera cercando. Ecco perché la poesia di Lombardo è a tratti ermetica: pur provenendo dall’intimità personale della mente del pensatore e da luoghi di solitudine e silenzio, trova comunque l’impeto necessario a dare voce a un pensiero critico fertile.
Dai propri luoghi solitari, tra affreschi giotteschi e sampietrini sotto le suole, la voce della poetessa deve trovare, e trova, la forza di uscire all’esterno. Solo così può cantare l’amore del mondo, che è poi il desiderio di trovare speranza che la ricerca abbia una meta, nonostante le ingiustizie e le insensatezze che ci forzano a scuotere la testa e giungere a conclusioni affrettate («tutto quello che credevamo fosse “certo” / - regole, architetture, ruoli / immagini, teorie - / era stato spazzato via dalla furia del vento / misto all’acqua salta, / dalla furia del mare / mista al cinguettio di uccelli vorticanti».). Fermarsi invece, bisogna fermarsi e nel tempo della pausa far fiorire la poesia, che è al tempo stesso parola e silenzio: un linguaggio originario con cui possiamo provare a essere cercatori indefessi di altri mondi possibili.
Sassi di sentiero
Sola nell’autunno cangiante di viali spogli,
tra i cipressi irti come torri che s’allungano
oltre i confini della materia
anelando il respiro delle nubi cariche d’acqua,
ho presagito il ricongiungimento tra il corpo
e la speranza di qualcosa di vivo
che ha la forma delle nebbie e dei rossi accecanti
che superano il tempo nel loro lento procedere
verso le insenature remote dei monti,
laddove in due
cercavamo il vuoto del silenzio.
Un francescano curvo, simile a un ambulante,
percorre il vasto sagrato che fu tempio di Minerva,
il vasto sagrato straripante di luce
dove annunziavano i credenti
un felicità ch’era la fatica di chi lottava e perdeva la vita
per una giusta causa
nella solitudine del mondo sordo.
Il mondo che ama stare a guardare, che si eccita
a commiserare a distanza
ogni tragedia.
Amor Mundi
era scritto sul portone inargentato dalla luna
ai margini dell’immensa salita.
Tutto sospirava senza attendere il giorno
con un altro modo di esistere
che appartiene interamente
alle creature del sottobosco.
Un modo d’esistere imperscrutabile e fuso
col mistero delle ombre e della memoria.
S’apriva dinnanzi alle mie spalle,
intera,
l’immagine d’un passato svanito
nelle profondità del cuore
di uomini e donne
svaniti anch’essi nella voracità delle albe cittadine.
Pei vicoli dei borghi
-ultimo rifugio dei peccatori e dei saggi-
a seguire le tracce di qualche divinità
di cui raccontavano
i dipinti sulle gracili pareti anticate.
Pei vicoli dei borghi
-ultimo rifugio dei peccatori e dei saggi-
a seguire le tracce di qualche divinità
di cui raccontavano le foglie sparse
come frammenti di corpi di corteccia.
Colma era la terra,
reclinata sul manto prepotente degli alberi:
inebriati di muschio e senza posa
amavamo il canto della grazia
fasulla e profonda come il mare,
amavamo il canto della grazia
profanatrice di certezze
come gli abbagli di prima gioventù.
Amavamo il canto della grazia
come peregrini in fuga da se stessi
e dalla caducità incancellabile.

Lucrezia Lombardo nasce ad Arezzo nel 1987. Dopo la maturità classica si laurea in Scienze filosofiche a Firenze, lavora quindi come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea e come giornalista, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento. Attualmente l’autrice scrive per alcune riviste letterarie internazionali, insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea. Dal 2020 è co-direttrice e curatrice della galleria d'arte contemporanea "Ambigua" di Arezzo e si occupa di poesia da diversi anni, sia come autrice, che come redattrice (collabora infatti per la rivista letteraria italo-francese "La Bibliothèque Italienne" ed è responsabile del blog culturale del quotidiano ArezzoNotizie). Lucrezia ha alle spalle le seguenti pubblicazioni: il saggio L’Alunno (Divergenze, 2019), vincitore del primo premio al concorso "Nuovi Saperi”; le raccolte poetiche La Visita (Giulio Perrone, 2017), La Nevicata (Castelvecchi, 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone, 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica, 2018), Apologia della sorte (Transeuropa, 2019), In un metro quadro (Nulla Die, 2020), Amor Mundi (Eretica, 2021);la raccolta di racconti Scusate, ma devo andare (Porto Seguro, 2020); il romanzo Kinder (Augh!, 2021) e ha curato la silloge Elegia Ambrosiana (Divergenze, 2021) con lo scrittore Raul Montanari. Per la sua produzione letteraria Lombardo ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti. Recensioni delle opere poetiche e inediti dell'autrice sono stati pubblicati, tra gli altri, sulle riviste "Gradiva", "Kultural" e sui blog "Parte del discorso" e "Les fleurs du mal".
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