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Immagine del redattoreSara Vergari

Le Rubriche di Alma: Alma & Campo (III Appuntamento)

Lettere a Alejandra Pizarnik


Negli anni ’60 tra Cristina Campo e Alejandra Pizarnik è intercorso uno scambio di lettere denso e profondamente intimo che ci dice molto su entrambe le autrici e da cui trasuda l’estenuante ricerca di comprensione della vita e dell’altrove. Le due riescono ad esprimersi l’un l’altra con una sincerità che perfino le sorprende, segno di un riconoscimento che avviene solo fra chi condivide un sentire fuori dall’ordinario. Come la definirebbe Fleur Jaeggy, un’amitié amoreuse che ha prodotto un piccolo epistolario degno di essere apprezzato e interpretato.

Nel 1967 nel diario di Alejandra si legge:


Ieri sera ho raccontato a Silvina del mio scambio epistolare con Vittoria. Avevo la sensazione che le interessasse; e ancora di più: credo che abbia visto in esso qualcosa di straordinario. Indubbiamente lo è o lo era (non so come andrà avanti, non so se voglio o posso continuare). È strano, ma soltanto quando ne parlavo con lei, ho capito che la grandezza e l’intensità dell’incontro tra me e V. non è “scontato”. (...) Perché l’entrata di V. nella mia vita non mi ha mai sorpreso? Non solo non mi ha sorpreso, ma ho dimenticato la sorpresa (o la non-sorpresa).


La grandezza di quest’incontro, la cui consapevolezza forse non arriva nell’immediato, si può comprendere da ciò che l’una ha rappresentato per l’altra, il polo opposto di cui avevano bisogno. L’una, Pizarnik, tutta fisicità, corpo e autodistruzione, l’altra, Campo, spiritualità pura, riserbo e autoesclusione.  Scoprendosi a vicenda hanno potuto comprendere il lato mancante dei loro mondi, attraendosi e respingendosi.  Le accomuna la ricerca sfrenata e senza riserve di autenticità.

Campo conosce bene la fragilità psichica di Pizarnik e il suo bisogno di supporto, e crede fermamente che la lettura di Simone Weill, come è stato per lei, possa essere salvifica. Certamente Pizarnik non abbraccia la visione spirituale di Campo e Weill, anzi ci si può aspettare un confronto accesso su questi temi (non abbiamo le lettere di risposta di Pizarnik). A volte un punto di incontro tra le due viene trovato a partire da tre parole che, reinterpretate alla luce di un senso letterario, divengono luci guida per entrambe: religione, patria, famiglia.


Lei mi dicea, quasi un anno fa – quanto tempo è trascorso dalla Sua prima lettera – che parole come religione, patria, famiglia “naturalmente” non avessero alcun senso per Lei. Può benissimo essere vero, ma non è affatto naturale. È solo tragico, e se il poeta accetta tutto ciò come naturale, questa è la fine, lontana o vicina, della sua stessa arte, perché il poeta, cioè l’aristocratico, ha la sua patria, la sua religione, la sua famiglia: ce l’ha, in ogni caso: la religione della parola, la patria della lingua, la famiglia dei morti meravigliosi e severi.

 

La scrittura è patria per il poeta, è famiglia e religione di vita anche quando non sembrano esserci alternative possibili.

Consigli di letture si alternano a momenti di silenzio, e ancora a parole di conforto in periodi di lutto e di smarrimenti e a confronti sui propri scritti. Altre volte Campo si lascia andare a delle lettere squisitamente poetiche, che meritano di essere lette per il puro piacere della loro bellezza.

 

Sa che Le sto scrivendo su una panchina di un parco pubblico? Il sole, in questo momento, sta per lasciare questo foglio. Vorrei conoscere i nomi degli alberi in francese: l’acero bianco, il susino rosso scuro nel quale il sole sprofonda come le ceneri nel fuoco. C’è il grande cedro del Libano (il mio albero), c’è la bianca pioggia e i tigli che coprono oramai tutto il sentiero. Questa parte del parco della Villa Borghese si chiama Il giardino del lago. Tutto è molto ordinato, e con una negligenza così superba (i piccoli ponti, le cascate, le piante rare e delicate) che ci si aspetta di veder apparire nell’ombra il Figlio del Cielo con la sua tunica di seta blu. Vengo spesso qui, a leggere e a scrivere.




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