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Immagine del redattoreGiuseppe Cavaleri

"Le Contaminazioni di Alma": geografie poetiche del lavoro contemporaneo

Se nel novecento l’immaginario della fabbrica era il fulcro di qualunque raccolta che volesse registrare/riportare le forme del lavoro coeve, oggi il lavoro si è pluralizzato[1], perdendo quella forza ideologica e comunitaria che ha caratterizzato se non il referente, almeno il raggio d’azione topico e creativo.

In un contesto, quindi, in cui la definizione stessa del concetto di lavoro si è disgregata da un punto di vista contrattuale e operativo, diverse raccolte poetiche italiane del nuovo millennio hanno proposto narrazioni del lavoro post-industriale, confrontandosi ora con un passato che turbo-industriale lo è stato, ora esplorando i legami sociale, culturali e storici con il territorio circostante. Autori e autrici che con le loro raccolte hanno espresso un’attenzione verso il mondo del lavoro nelle sue dinamiche attuali, innovando cronotopi storici, culturali e poetici e coniugandoli con le forme in cui nella contemporaneità si determina il rapporto tra umano e lavoro e i cortocircuiti storici, ambientali e più specificamente letterari che si vengono a determinare. Tra queste, tre raccolte, diversissime tra loro, ma legate assieme da una genuina tensione creativa e da un’apertura forte verso la contemporaneità e la sua complessità.

Il nord-est italiano della nebbia e delle fabbriche (Frolloni[2]) in Per far vivere altro cadiamo (Industria&Letteratura, 2023) di Marco Carretta, le cattedrali del consumo (e del precariato) nell’ormai incenerito entroterra siciliano in Suite Etnapolis (Interlinea, 2019[3]) di Antonio Lanza e la vicenda delle migliaia di caregiver che dall’Est Europa vengono nel nostro paese per badare ai nostri cari raccontata in La scolta di Gian Maria Annovi (Nottetempo, 2014[4]).

Suddivisa in quattro sezioni introdotte da versi isolati (uno dei quali dà il titolo al libro), la raccolta di Carretta mette in versi la trasformazione di un territorio, quello del Nord-Est italiano, che nel giro di qualche decennio è passato da un economia di tipo agricolo a una industriale. Da una prima sezione dove si assiste al passaggio da un mondo contadino a un orizzonte piccolo imprenditoriale («dov’era la la nostra terra /[…]/ si formò un’officina»), alle ultime due sezioni dove la provincia e la campagna si contrappongono alla città che con le sue periferie residenziali si innerva e svuota i campi dove svettano «cartelli affittasi /come su cadaveri /appena piovuti».

Sotteso al binomio simbiotico lavoro-vita che l’autore esplora nella sua fase formativa, in Carretta il lavoro, proprio per la dinamica strettamente familiare e identitaria allo stesso tempo, assume anche la forma di un confronto tra generazioni che non sempre si capiscono, ma in nome di quella simbiosi familiare-aziendale si ascoltano, anche quando subentrano le parole della globalizzazione e tocca «fidarsi dei figli perché figli».

In mezzo il racconto è spezzato dalla seconda sezione dedicata alle morti bianche, ai «mille e ogni anno mille» lavoratori e lavoratrici che muoiono sul posto di lavoro, vittime di un destino avverso, ma anche di incuria e insicurezza. Il raccoglitore di pomodori che stramazza a terra, l’operaia che finisce risucchiata dalla staffa e diventa «la lana del vento», il camionista che vorrebbe «far / riposare / gli /occhi». Scorrono, infatti, con un montaggio serrato e lucido, ma mai invadente, i protagonisti di una Spoon river contemporanea fermati nel momento in cui la loro vita diventa tristemente cronaca, diventando gocce di «una pioggia infinita» che nel solo 2021, annota l’autore con una nota alla fine del testo, ha ucciso 1404 persone.

Sin dal titolo la raccolta di Gian Mario Annovi insiste, invece, sul tema della marginalità. L’Agamennone di Eschilo, prima tragedia del ciclo dell’Orestiade, si apre infatti con la vedetta, ovvero la scolta, che da un anno aspetta di scorgere le fiamme di Troia espugnata per andarlo ad annunciare alla regina di Argo, Clitennestra. La sua utilità narrativa, come la sua presenza nella tragedia, si manifesta (e si risolve) unicamente in questa funzione.

Riallacciandosi esplicitamente al personaggio della tragedia classica[5], Annovi ricostruisce l’incontro tra un’anziana signora italiana e una scolta dei nostri giorni, una badante di un imprecisato paese dell’Europa dell’est: due fragilità opposte costrette a convivere e a dipendere l’una dall’altra.

Nonostante, infatti, nel 2022 il numero delle badanti straniere in Italia abbia superato quello degli operatori del settore sanitario (fonte SDA Bocconi), in Italia si parla ancora relativamente poco della cosiddetta sindrome Italia, ovvero dell’insieme di disturbi che riguarda proprio le tante donne che lasciano la famiglia e il proprio paese per andare nei paesi più ricchi ad assistere le persone più fragili. Disagio e stress che avvengono per avere abbandonato i propri affetti e soprattutto per un isolamento linguistico, oltre che affettivo e culturale.

Ed è proprio sulla materia linguistica che la raccolta di Annovi si sofferma. Alla lingua dell’anziana che viene assistita, «questo italiano paralizzato» che la stessa signora italiana riconosce, è contrapposta quella sgrammaticata e zoppicante della badante (l’autore stesso ha affermato di essersi ispirato al doppiaggio originale delle domestiche di film come Via col vento[6]). Una mimesi estrema che potenzia l’impianto poetico stesso e rende testimonianza di un distacco che prima di tutto è linguistico, oltre che culturale e umano.

Cadenzata da un’alternanza di voci che sembra proprio ricalcata sulle tragedie classiche, forza della raccolta di Annovi è inoltre la pulizia con cui vengono inquadrate certe immagini (la badante spiata dall’anziana mentre guarda il freezer di notte perché « ci vede / il bianco notturno del suo paese» oppure il passaggio del bagno dell’anziana). Il conflitto e l’incontro tra queste due voci “svociate” rende valore così a un testo capace di porsi come atto di testimonianza e di fede (Borio[7]), documentando quella che è una «scena per due sparimenti», una condizione umana (e lavorativa) destinata altrimenti per le caratteristiche intrinseche delle proprie protagoniste a essere dimenticata.

Cifra dell’ultima raccolta, Suite Etnapolis (Interlinea, 2019) di Antonio Lanza, è invece la molteplicità: di toni e di stile, ma anche di voci e struttura.

Il termine suite del titolo d’altronde se rimanda da un lato a una partitura strumentale, caratterizzata da una composizione divisa per tempi, dall’altro indica un corteo, un insieme di personaggi che costituisce un insieme omogeneo. Sullo sfondo del centro commerciale Etnapolis che riempie e deforma un territorio altrimenti campestre, progettato da Massimiliano Fuksas e situato in una zona come quella del catanese che ha la più alta densità di attività commerciali di questo tipo in Europa[8], Lanza mette in versi quello che lui stesso definisce «un esteso epos /di racconti», una polifonia stratificata delle vite precarie che gravitano intorno alla nuova polis etnea.

Prestando voce a Laura di Lovable, Samuele di Mondadori e Cinzia, Alfredo il barista, la guardia giurata, le silenziose (ovvero le signore delle pulizie, «indurite madonne)», personaggi che sbarcano il lunario lavorando nei corridoi opalescenti di profitto e merce merce e profitto, Lanza salmodia (termine usato proprio dal narratore-cantore nel testo) il bilico esistenziale e lavorativo dei lavoratori e delle lavoratrici del centro commerciale/mondo che sembra divorare corpi e penseri di chi lo abita, inglobando qualsiasi prospettiva spaziale o temporale.

Come individua, infatti, Andrea Accardi intervenuto alla presentazione del libro dell’autore etneo[9], la raccolta non si risolve, però, semplicemente nell’atto della denuncia, ma mostra anche la fascinazione quasi reverenziale che Etnapolis esercita sul territorio circostante e su coloro che lo frequentano (tanti sono i termini con i quali viene definito il centro, tra cui Moloch, Ecclesia, balenaspiaggiata, Tempio, colonia penale, Maschera di lupa).

Complessità e ambivalenza che risalta anche dall’architettura della raccolta. Suddivisa in sette sezioni, i testi si sviluppano all’interno di un arco temporale che va dalla Domenica («Santa e benedetta la domenica di Etnapolis») fino al sabato successivo, una Genesi capovolta del consumo dove non viene costruito nessun universo perché l’universo già esiste, scandito dal profitto di «crani eccitati /da musica e colore di merce», consumandosi e riaccendendosi giorno dopo giorno e dove la memoria «non insiste più di tanto/ […] dura i minuti/ esatti di permanenza». La varietà di temi che attiva la raccolta è in parte anche testimoniata dalla diversità stilistica e strutturale che la permea. Si va così da passaggi dove il verso si distende acquisendo una forma spiccatamente narrativa, a parti dove invece le parole rallentano acquisendo una partitura anapestica. Se nelle prime giornate/sezioni la raccolta sembra essere compatta, nelle successive la raccolta si scompone, mischiando versi e prosa, tecnicismi e lirismi.

Scacco al buco nero della galassia/centro commerciale, definitiva deflagrazione mitopoietica e narrativa, è l’apparizione di un cervo, animale improbabile in quella zona della Sicilia, nel quale la “gente di Etnapolis” vede un lampo, una possibilità di spaccatura dal ritmo (della suite verrebbe da dire). Anche se, e qui sentenzia il narratore-cantore che dall’alto scruta e medita, a fine giornata «regolare, cervo o no, è avvenuta / la conta del profitto».



BIO AUTORI


Gian Maria Annovi è nato nel 1978. Insegna lingua e letteratura italiana alla University of Denver. Ha pubblicato Denkmal (L’Obliquo 1998), Self-eaters (FCRM 2007), Terza persona cortese. Reality in sette visioni (d’If 2007) e Kamikaze (e altre persone) (Transeuropa 2011, con un’introduzione di Antonella Anedda e un cd di Joseph Keckler), Discomparse (Nino Aragno, 2023). Nel 2006 ha vinto il Premio di poesia Russo-Mazzacurati e nel 2007 è stato finalista al Premio Antonio Delfini.


Marco Carretta nasce a Padova nel 1984. Arriva tra i finalisti dei premi Bologna in Lettere, Città di Como, Europa in versi. Sue poesie sono state pubblicate su Poesia Del Nostro Tempo, Inverso Poesia, Neutopia. Questo libro viene pubblicato in quanto vincitore della prima edizione del Premio Lo Spazio Letterario di Bologna


Antonio Lanza, nato a Paternò (Catania) il 28 novembre 1981, vive a Biancavilla. Si è laureato in Lettere con una tesi sulle riviste letterarie catanesi d’avanguardia di inizio Novecento. Nel 2017, con la prefazione di Fabio Pusterla, pubblica le prime quattro sezioni del poemetto Suite Etnapolis in Poesia contemporanea. Tredicesimo quaderno italiano (Marcos y Marcos, a cura di Franco Buffoni). Collabora con “l’EstroVerso”. Sue poesie sono state tradotte in francese sulla rivista canadese “Exit”.


Da Per fare vivrere altro cadiamo


Tra le macchine

mille e ogni anno mille

incagliate, rami inadatti

nel cantiere, imbrogliate,

sacchi in caduta. Mai altrove,

scomposte dall’ordinario.

Molti metri, troppo peso.

Noi nelle gole spenti,

nella corsa verso.

Dieci secondi in ritardo

voci distanziate dai tagli.

Adesso sai

di non maledire la pioggia

nel tragitto. Dal mattino

buio tu devi tornare.

L’ultima acqua ti bagnerà il viso

perché – anima –

è facile succeda.

Di quella pioggia infinita

tu devi sapere.

Tu devi sapere.


da La Scolta


[Ucraine, Moldave, Russe con bigodini sulla testa.

Parco della Resistenza. Domenica. Dopo la messa ortodossa]


in camio ti porta Signore a confine

in piedi nel gelo di frizer

in mezzo a la carne di maiale


poi in macchina chiude

in dietro di bagagliaio


mano legate piedi con corda

con nastro marrone


poi c’è strada la notte per mesi

la fuga


poi c’è casa in campagna


donna malata che

non può parlare:


la bada


da Suite Etnapolis


Etnapolis di Etnapolis, tutto

È etnapolis, dalla terrazza da cui solo mi sporgo

Lamento, finito il turno, la prova.

(C’è buio fitto adesso. e dorme distesa

Tutta sotto le stelle l’immobile

Babilonia.) Balena spiaggiata, Etnapolis,

colonia penale, Etnapolis,

pista di decollo, navicella spaziale, Ecclesia –

piàcciati entrare interna nel mio canto,

le luci come l’immondo.

[1] Cfr, A. Accornero, San Precario lavora per noi. Gli impieghi temporanei in Italia, Milano, Rizzoli, 2006. [2] R. Frolloni, Prefazione, in Per fare vivere altro cadiamo di M. Carretta. Milano, Industria&Letteratura, p.7. [3] A. Lanza, Suite Etnapolis, Novara, Interlinea, 2019. [4] G.M. Annovi, La scolta, Roma, Nottetempo, 2014. [5] [6] Andrea Cortellessa, Campioni # 1. Gian Maria Annovi, https://www.doppiozero.com/campioni-1-gian-maria-annovi [7] M. Borio, Lahttp://www.nuoviargomenti.net/poesie/la-scolta-di-gian-maria-annovi/ [8] Secondo i dati prodotti da Sincron Innova e reperibili al seguente link: https://www.mark-up.it/mappa-centri-commerciali/ [9] L’intervento è visionabile su Youtube al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=1pkUs6WKFN4&t=847s

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