«La luce passa in fretta e poi sparisce»: recensione a "Curênt" di Davide Romagnoli
- Emanuele Andrea Spano
- 22 mar
- Tempo di lettura: 3 min
Non si rischia certo di essere tacciati di presunzione o di supponenza se si afferma che Curént di Davide Romagnoli, da poco uscito per le edizioni di Marco Saya, è un libro per molti versi anomalo nel panorama poetico contemporaneo. Non tanto per la scelta del dialetto, che come ogni dialetto afferisce a un microcosmo linguistico e culturale geograficamente limitato pur innestandosi in una tradizione lombarda che dal Novecento a oggi ha tracciato un solco significativo nel panorama poetico italiano, neppure per la scrittura distesa, a tratti narrativa eppure intrisa di un lirismo quasi spirituale, addomesticata dal ritmo delle quartine e delle terzine, quanto piuttosto perché siamo davanti a un libro ostinatamente di ricerca, non di ricerca linguistica o metalinguistica, non di ricerca dello stupore e dell’effetto, quanto di ricerca di un senso ultimo alle cose, un senso continuamente inafferrabile e inafferrato che pure sembra scorrere sotto alle parole, alla terra fradicia di nebbia e di acqua, sotto di noi.
A una prima lettura si ha la sensazione di ritrovarsi in un luogo esatto, per quanto irriconoscibile, in una campagna custodita dalla nebbia che ha resistito alla modernità, una campagna fatta di pochi interni, di bicchieri lasciati sulla tavola e candele in chiesette di pietra piegate dal vento, si ha la sensazione d’essere in un tempo fuori dal tempo, incollocabile, in un passato che non è passato, nonostante qualche strascico furtivo di nostalgia. Poi si comprende che esiste un tempo con la T maiuscola, un tempo che sta sopra tutto e tutti e ci determina, che si scandisce in tanti tempi minimi, privati e pure le voci, gli echi, i fantasmi, le allusioni a un qualche “tu” a cui rivolgersi non sono che tracce scomposte che quella “corrente” trascina via e rimesta nel suo giro continuo.

La prima sezione di questo libro ci mostra proprio in quel “gîr dìi gloria” la fissità di un mondo che si arrotola su sé stesso, in cui il tempo continua a girare inesorabile, in cui tutto si fa e si disfa in un ritmo continuo e incessante, in cui tutto pare preso in un valzer di giostra e le rotaie – quelle sognate che sconfinano nel mare – e i treni rimbombano in lontananza lasciandoci lì, impantanati nel ritmo delle stagioni che si affastellano l’una sull’altra. Se in questa sezione «la luce passa in fretta e poi sparisce / nello sciogliersi del silenzio» – e il silenzio è uno dei temi ricorrenti in queste poesie, il silenzio delle preghiere e quello dell’ascolto – nella seconda «i lüs d’i pugiö» si affacciano e ci conducono verso il cielo e le stelle, quelle stelle immobili che ci guardano e ci raccontano di qualcosa che sta sopra di noi. Eppure, quelle luci che si accendono e si smerigliano, che ci dicono di angeli e presenze, di strade oltre la nostra terra forse, paiono lottare contro un niente che avanza e dilaga. Quel niente, ancora una volta con la lettera maiuscola, prima di degradarsi in tanti piccoli niente, che in fondo è ciò che noi siamo dell’economia del tutto, sembra quasi avere una valenza ontologica, una sua consistenza materica, una sua tempra granitica e minerale che la luce non sa scalfire.
Si comprenderà ora come, al netto delle singole interpretazioni, questo libro sia fitto di simboli e richiami, di come tutto sia allusivo a qualcos’altro e qualsiasi traccia sia assorbita in un sistema che ci impedisce di ricostruire la strada, un libro labirintico in cui le immagini restano impigliate dentro una matassa di cose, di voci, di visioni impossibile da sbrogliare – e che forse non si deve sbrogliare.
Non si è detto del dialetto e non ci sarebbe nulla da dire, se è vero che ogni poeta sceglie il suo linguaggio così come la sua cifra e lo maneggia e lavora secondo le sue regole e la sua sensibilità, solo non si può non fare un plauso alla stupefacente capacità di Romagnoli di incidere l’essenza ruvida di “quel” dialetto, la sua natura spigolosa e impervia, per farne un linguaggio poetico denso di chiaroscuri, di chiusure e aperture, di luci, ombre, nebbie e bagliori improvvisi. E questo, a onore del vero, va detto.

Nato a Milano, Davide Romagnoli è autore di poesia, critica e narrativa. Scrive per blog, giornali e riviste di musica, cinema e letteratura. Insegna lingua e letteratura italiana.
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