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  • Immagine del redattoreFrancesco Destro

Gli inediti* di Matteo Rusconi

Queste di Matteo Rusconi sono poesie impietose. Dure, lapidarie, senza particolari effetti retorici, ma con la padronanza di immagini che si stagliano e restano nella mente del lettore. Forse per la ricorrenza di alcuni elementi in particolare, che pur in maniera diversa emergono di poesia in poesia. La figura del cane, a volte la vita, a volte il poeta stesso; lo scenario della guerra; l’idea del lasciare sempre qualcosa fuori dal portone della fabbrica, mostro che fagocita persone e con loro speranze, gioie, ottimismi. E che restituisce ossessione. Perché, se la vita resta fuori, la dimensione della fabbrica al termine dell’orario di lavoro varca invece i cancelli assieme all’operaio. È un odore che non si lava via, un rumore che resta nelle orecchie, un animale feroce che nella routine lo costringe a una situazione di fuga costante da un sistema che sembra voler togliergli tutto.

Ed è forse questo a ricordare temi e versi del Sereni degli Strumenti umani, e più in generale la letteratura industriale degli anni Cinquanta e Sessanta, quando con la seconda rivoluzione industriale emerse, culturalmente parlando, la natura oppressiva e alienante della fabbrica. Ma i versi di Rusconi riescono a restituire qualcosa di nuovo, pur ammonendoci che poco è cambiato. Che l’uomo può essere ancora oggetto, se non misero ingranaggio. Che la spersonalizzazione resta. Che il significato dell’esistenza si assottiglia sempre più, con il “rischio” di passare alla storia «col il nome inghiottito dall’azienda».



Mi porto a casa il rumore della fabbrica

come un reduce porta dentro di sé

il ricordo della guerra.

Nella doccia ritrovo

lo stridere del metallo

il battere del martello

e tra i capelli ho sparsi i trucioli di un cristo di ferro.

Il tempo ciclo è importante più dell’anima,

la velocità è tutto

gli avanzamenti sono tutto

e il mio invecchiare è il niente,

io sono solo un meccanismo sostituibile.

Mi porto a casa l’odore della fabbrica

come un cane che ritorna da un tuffo nella fogna

e sul limitare penso spesso

al tempo perso là dentro

alla poesia di Prévert nel mio armadietto

e al sole che brucia le spalle

mentre alla mia pelle ci ha già pensato il solvente.


*


Varcata la cancellata

siamo legionari che si conquistano il pane.

Le antinfortunistiche sono scudo

la chiave a brugola è gladio

la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo.

Le nostre vite restano fuori

come cani fedeli

come l’amante che aspetta il suo turno.

Passiamo alla storia

con il nome inghiottito dall’azienda.


*


Le luci del mattino non sono fatte di alba

sono led fluorescenti che investono la via

e la fanno sembrare viva.

La produzione già mi aspetta con i suoi cancelli aperti

e con le finestre degli edifici che sembrano sguardi assatanati.

Le ante dei portoni mi ricordano fauci spalancate.

Le macchine all’interno sono diavoli che non dormono

attendono la mia carne per pungerla e squamarla

sotto vivide luci da sala operatoria.

La fabbrica è una bestia che nera non riposa,

ha denti d’acciaio cariati di polietilene

con cui mi morde polpastrelli e palpebre

e la strada tortuosa è la sua lingua che viscida mi cattura.

La fabbrica è una bestia che mi insegue giorno e sera

reclamando la mia schiena

perché mi vuole possedere con i suoi meccanismi

mentre le luci del mattino

rimangono tremori di stanchezza che non passa

e io sono stanco, tanto stanco di scappare.



* Gli inediti qui proposti entreranno a far parte di una raccolta, la cui pubblicazione è prevista per marzo 2021 con i tipi di Aut Aut Edizioni.


Matteo Rusconi, conosciuto anche come Roskaccio, nasce a Lodi nel 1979.

Poeta e operaio, nel 2017 pubblica la sua prima silloge intitolata Sigarette - Venti Poesie Per Smettere Domani (Ed. Ilmilibro.it)

Alcune sue poesie sono apparse in varie antologie, tra le quali NOvecento Non Più (2016. Ed. La Vita Felice) e La Nostra Classe Sepolta. Cronache Poetiche Dai Mondi Del Lavoro (2019, Pietre Vive Editore).

Cura il blog Parole & Carriole.

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