«Fuori da questa pagina»: recensione a "L’anima o niente" di Salvatore Ritrovato
Rainer Maria Rilke scriveva in una lettera indirizzata a Lou Andreas Salomé «che due esseri umani si riconoscano l’un l’altro non è soltanto splendido; ma è della più grande importanza che si incontrino nel momento giusto […] prima che due siano infelici assieme, devono insieme essere stati beati e avere un comune santo ricordo, che custodisca un uguale sorriso sulle loro labbra e un’uguale nostalgia nelle loro anime.» Di un uguale sorriso e di un’uguale nostalgia si tingono il «santo ricordo» e gli incontri dell’ultima raccolta poetica di Salvatore Ritrovato, L’anima o niente (Ed. Il Vicolo, 2020).
Mi sembra che l’intera raccolta poetica di Ritrovato si possa leggere alla luce di elementi dicotomici (anima-corpo, io-altro, naturale-artificiale, reale-poetico) che però non entrano mai in collisione tra loro ma si susseguono in un continuum che ha come centro gravitazionale l’incontro. Un incontro non soltanto con l’altro, perlopiù un tu femminile che è l’interlocutore privilegiato di questi versi, ma anche con sé stesso. Un io-lirico che si scopre e si mette a nudo spesso proprio grazie all’incontro rivelatore con la donna che fa da specchio («allora vorrei che fossi tu il mio specchio»), anche quando la figura femminile è in absentia («prendilo come un vecchio ospite / che cerca riposo contro il tempo mai insieme trascorso»). La rivelazione del tu femminile, che si effonde tra presenza e assenza («aspetto una persona. / Se non viene sapete tutti che mi manca»; «Quanti vuoti, da lontano, l’assenza spalanca»; «Quel giorno a casa rimanesti tutto il pomeriggio») è occasione per Ritrovato di scandagliare anche le possibili manifestazioni dell’io, meccanismo che richiama inevitabilmente Petrarca, Montale, non a caso citato in esergo, così come non a caso è posto in epigrafe a Bisogna imparare il celebre sonetto di Stefano Protonotaro, Pir meu cori alligrari. L’immagine di questa donna, o meglio di un’entità femminile che ha in sé mille altre figure femminee («tu non sarai una donna ma tutte le donne»), si svela al lettore nel suo ambiguo apparire a metà tra il materico e l’immaterico, a tratti trascendente. È una «dea oscura», un angelo, una lucciola, («È l’angelo custode quando rassetta le ali / e le spolvera in quella leggerissima materia che sfuma»; «Dalle cime un angelo planava sulle ali congelate / fra i capelli lunghi ghiaccioli taglienti»; «Nei tuoi occhi va e viene una luce / che solo le lucciole conoscono»), eppure al contempo è carne, corpo («Hai cento mani (mi dicevi) ma non bastano / a conquistare tutti i centimetri del mio corpo / non basta frugare con la lingua i nervi / i tendini le natiche le ascelle»), una voce sicura che richiama il poeta perso in sogno o tra i suoi versi alla concretezza del reale da cui si era escluso («Dài del bugiardo al tuo poeta, e gli chiedi una poesia? / Ma quella parola s’incunea fra l’ipotalamo e il cervello / tanta è la paura di parlare di ciò che è bello / dimenticando che cosa è vero in quel momento»). Con i versi di L’anima o niente Ritrovato tenta di stabilizzare un legame ionico, quello tra la poesia e la realtà, tra «i pollai sterili dei poeti», «i divani filosofici» e «il libro che stiamo vivendo». Questo richiamo alla «vita brulicante delle cose», che non sempre si risolve in un “risveglio” pacificante è ben enfatizzato dalla forma interrogativa diretta, che incalza il poeta e lo induce a una riflessione che lo costringe lontano dalla «fonte della poesia»: «Perché mi chiedi sempre mentre ti parlo dei massimi sistemi / se mi servono uova fresche?»; «hai un ricordo di quelli veri?».
Ritrovato traccia con estrema chiarezza per tutta la raccolta un incontro-scontro tra l’io poetico e il suo destinatario, tra la poesia e il suo referente reale, ruote dentate di uno stesso ingranaggio che si trasmettono vicendevolmente il movimento e che rischiano però di andare in panne, di perdere il dente che le fa combaciare («Non riesco più a rimettermi in carreggiata. / Sono come quella macchina che da tempo ha sbandato / e perde pezzi: prima o poi si ferma»). L’anima o niente può essere letto come un romanzo amoroso, una dichiarazione d’amore alla vita e alla poesia, un viaggio tra le pagine e fuori di esse: «Quanta vita, fuori da questa pagina, grazie a te mi avanza».
Bisogna imparare
E si pir ben amari / cantau jujusamenti /
omu chi avissi in alcun tempu amatu /
ben lu diviria fari / plui dilittusamenti /
eu, chi son di tal donna inamurati…
(Stefano Protonotaro, Pir meu cori alligrari)
Certe storie, sul treno, non so prenderle sul serio
ma questa volta si parla di fallimenti e di finanza.
Le facce scure, non tese, anzi eleganti.
Le pieghe blu, l’organza dell’avvocata che aggrotta
i sopraccigli in un’apostrofe senza speranza.
Di fronte una coppia dorme, un capo cade avanti
l’altro sulla spalla schiacciata che danza
leggera contro il vetro che il sole scalda.
Io sul sedile, a fianco, ho lasciato lo zaino
come a dire occupato, aspetto una persona.
Se non viene sapete tutti che mi manca.
Ma non c’è tempo: tu ricordi “bisogna imparare”.
E io: no, questa solitudine che mi incalza
in ogni viaggio, vale qualsiasi desiderio.
Quanti vuoti, da lontano, l’assenza spalanca.
Quanta vita, fuori da questa pagina, grazie a te mi avanza.
Uova fresche
Perché mi chiedi mentre ti parlo dei massimi sistemi
se mi servono uova fresche?
Mi togli le parole dal congelatore dei pensieri
e scendi nella vita brulicante delle cose:
mi dici lascia i divani filosofici, i pollai
sterili dei poeti… hai un ricordo di quelli veri?
È la pazienza delle stagioni contro la noia degli umani.
Pensiero d’estate
Le lucciole ti aiutano a pensare.
Scendono nel giardino verso sera
sospese tra l’erba e il firmamento.
Attendono un segnale dalle tue mani
e nella parentesi di un battito di ciglia
circondano la casa: sei tu la dea oscura
che si affaccia dal balcone del tempo
colma le lacune fra le ore.
Nei tuoi occhi va e viene una luce
che solo le lucciole conoscono.
Salvatore Ritrovato (1967) è poeta, critico, docente di letteratura italiana presso l’Università di Urbino Carlo Bo e di scrittura creativa presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Ha pubblicato le raccolte di poesie Quanta vita (Book, 1997), Via della pesa (Book, 2003; Puntoacapo, 2015, n. ed.), Come chi non torna (Raffaelli, 2008), L’angolo ospitale (La Vita Felice, 2013); e diverse plaquettes: Cono d’ombra (Transeuropa, 2011), Cercando l’isola (Varzi, 2017), La casa dei venti, (Il Vicolo, 2018), Dedo (Puntoacapo, 2019), L’anima o niente (Il Vicolo, 2020).
Per quanto riguarda il suo lavoro critico, si ricorda: Dentro il paesaggio. Poeti e natura (Archinto, 2006), La differenza della poesia (puntoacapo, 2009, n. ed. 2017), Piccole patrie. Il Gargano e altri sud letterari (Stilos, 2011), All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi (Metauro, 2014; n. ed. 2017), La poesia e la via. Saggi sulla letteratura e la salvezza (FaraEdizioni, 2020), ha la curatela delle Poesie giovanili di Paolo Volponi (Einaudi, 2020). Di prossima pubblicazione, presso Feltrinelli, l’edizione dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese.
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