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Immagine del redattoreMartina Toppi

«Sognerò pulcini e comete»: recensione a “La gioia delle incompiute" di Rita Greco

Le cose si muovono senza spostarsi, i fiori attraversano la neve per sbocciare, le ore immobili guardano la vita scorrere: è questo panorama di sottili contraddizioni ed evidenti violazioni della logica comune la fonte della poesia di Rita Greco, che si muove timidamente al confine tra realtà e fiaba. Ne La gioia delle incompiute (Giuliano Ladolfi Editore, 2021) Rita Greco disegna con i versi storie di altri mondi possibili. Non si tratta di esplorazioni fantascientifiche e neppure di costruzioni d’immaginari inediti: i mondi possibili – introdotti dal filosofo Leibniz e approfonditi da filosofi del linguaggio come Lewis e Kripke – non sono infatti pianeti lontani, ma interi universi, diversi da quelli in cui abitiamo, perché alcune (o molte o addirittura tutte le) caratteristiche che lo contraddistinguono sono diverse da quelle del nostro universo. È una possibilità logica che si distingue dalla possibilità fisica e che vive proprio nella lingua.

Quelle di Greco sono poesie intessute di una luce estranea a quella in cui quotidianamente ci muoviamo («Lasciami entrare, / voglio il grezzo diamante / della tua mezzaluce. Dove lo tieni, dove lo nascondi?»), risiedono in una dimensione dove l’alba si infila tra i capelli con un manto azzurro e i baci sono lunghi come un tempo che nessuno ha mai infilzato sulle lancette. E così anche la parola si piega ad altre regole, sfuggendo ai confini della prassi.

Lì dove la grammatica e la sintassi cessano di seguire il tracciato scontato della lingua quotidiana, il verso di Greco si piega alla creatività universale del linguaggio: il dubbio prende voce (« […] muti e contratti a cacciare gli spigoli / in cui si raggruma nonsocosanonso / e non voglio saperlo») e i nomi segreti degli spazi inesplorati prendono corpo, come parole occulte tracciate in controluce sulla polvere, con un dito.

Nelle fiabe le cose spesso restano incompiute: i draghi vengono sconfitti e i castelli riconquistati, certo, e non manca la morale capace di racchiudere un senso, ma la percezione è che oltre l’ultima parola scritta rimanga sempre altro. Altre vite e possibilità di esistenza che il finale di una fiaba non approfondisce, semmai lascia in sospeso, a tremolare sull’orizzonte come i grani di polvere catturati nella luce. Sono storie possibili perché nei mondi fiabeschi saltano i limiti dettati dal buon senso, ma non quelli dettati dalla logica: «Ciò che rende un universo possibile – spiega Elisa Paganini in Oggetti e personaggi fittizzi. Un dibattito filosofico contemporaneo (Carocci editore, 2019) – è che in esso sono rispettati alcuni principi logici fondamentali, come ad esempio, il principio di non contraddizione (non si dà il caso che P e non P) e il principio del terzo escluso (o P o non P). […] Quindi c’è un mondo possibile in cui gli asini volano (anche se le leggi fisiche del nostro universo sono incompatibili con il volo degli asini) ma non c’è un mondo possibile in cui gli asini volano e non volano».

Simili agli asini che volano sono proprio le gioie incompiute che danno il titolo alla raccolta di Rita Greco: gioie che passano attraverso i rimaneggiamenti della metamorfosi, perché sono state dolore e perdita, prima di diventare altro, come il caffè è chicco profumato prima di essere macchia fresca sulla tovaglia. Ma la metamorfosi non è mai totale e quel dolore che adesso è gioia non smette di essere vuoto e nostalgia, creando una commistione di opposti che travalica la prassi del nostro sentire e ci lascia a sfilacciare domande come petali di margherite: «E se tutta la vita non fosse /che questo fare e disfare / letti e caffettiere?». Eppure, in questo trasmutare in altre forme, la vita resta. Vita vera, logicamente possibile e costruita su tasselli da ricomporre all’infinito, ma non per questo meno integra nella sua essenzialità. In questo senso la poesia di Greco tenta invano di inseguirla nel suo nomade vagabondare di possibilità in possibilità: la vita è fatta anche di «rughe tenere a solcare il viso di pane», di «due vecchi abbracciati / ai piedi, il mare / sul capo, la luna», di un cielo come «un sogno azzurro / pieno di ali», di coperte come «montagne di calore» e pupille come precipizi in cui cadere. Giocoliere e maga, Rita Greco riassembla le parole per estrarre da chi legge la conferma che, in questo apparentemente insensato trasformarsi delle cose in altre, qualcosa di totalmente sensato resta.

Il verso, in primis, serpentina di voce che ora si alza e ora si abbassa, e lega insieme ciò che tende a evadere fuori dall’orizzonte, per forza centrifuga: «Come un giocattolo rotto / mi assedia il tempo perduto / e non mi rimedia quello che resta / le facce sgargianti delle possibilità / attorno alle mie mani incapaci». La poesia si presenta quindi come genesi primaria di queste possibilità di esistenza metamorfizzate in realtà sovrapposte: «La poesia non ha nome / la poesia / si chiama resurrezione / e io la ricevo / con la gratitudine / che si deve a un dono inatteso / la contemplo / come un fiore di luce / che si schiude / tra le mie mani». Dà voce ai sentimenti più cupi che tormentano il nostro cuore e che cerchiamo di etichettare come estranei: «Le cose sono fragili e si rompono / se anziché vedere il tuo viso / vedo le tue spalle / spalle spallucce ballerine / – scusami ho da far con le galline /che me ne importa di te? –». Nel non senso – che è poi sempre un senso altro, come sbucare da un tunnel sotterraneo e trovarsi a testa in giù e scoprire che è possibile camminare anche con la testa tra le nuvole – è possibile pensare a ciò che è difficilmente definibile e circoscrivibile: l’eternità, il perdono, la salvezza, l’innocenza, il tempo, il silenzio, «gli angoli strappati alla notte», «il funambolico passo del mio essere al mondo».

Spazi ampi che tornano infine nello spazio breve dell’haiku, la forma di componimento con cui la raccolta di Greco si chiude, senza più piegare il verso nello sforzo di dire altro, ma lasciando che siano le pause di silenzio a fare largo a ciò che ancora non è, ma potrebbe essere, se solo uno si sforzasse di immaginare. E chissà che servano nuove parole per dire ciò che la gravità e altri limiti fisici ci dipingono come impossibile. Rita Greco è una poetessa capace di trovarle.

Rita Greco è nata e vive a Mesagne (Br). Ha pubblicato le raccolte di poesie Perché ho sempre addosso un cielo (Il Filo Edizioni, 2007) e La gioia delle incompiute (Ladolfi Editore, 2021). Diplomata attrice professionista presso la Scuola d’arte drammatica della Puglia Talìa, conduce laboratori di teatro-poesia per bambini. È vicepresidente dell’associazione culturale Solidea (1 Utopia). Suoi testi sono stati pubblicati su vari siti e blog, tra cui Rai Poesia, Interno Poesia, Versante Ripido, Poesia del nostro tempo, Margutte e su Centro Cultural Tina Modotti con traduzione in spagnolo a cura di Antonio Nazzaro.

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