Nota di lettura a "Sovraliminale" di Francesca Del Moro
Con Sovraliminale (Edizione Progetto Cultura, 2023) Francesca Del Moro riesce a pescare il buio dai pozzi più terribili e a restituirlo a noi con una poesia asciutta, tremenda e folgorante. Con questo ultimo lavoro vengono mostrate le oscurità di noi tutti, il male che intossica il mondo. Come una freccia, la parola di Del Moro saetta e colpisce il significato, senza mai cedere al moralismo o alla pietà. Riesce, pertanto, nel compito difficilissimo di parlare dei temi impossibili. Non c’è spazio per l’ipocrisia del linguaggio delicato: del Moro chiama le cose col proprio nome perché si riconosca la realtà del tempo oscuro che viviamo (Non a caso Iddio / decise di collocarci l’origine / in mezzo agli orifizi escrementizi. / A volte non basta una vita / per toglierci la sensazione / di essere residui / di essere stati pisciati / cacati dal mondo».
In questo ventaglio nero scorriamo immagini riguardanti le ingiustizie sempiterne («Lo sapevano già gli antichi / nel preparare i corredi funebri: / la morte non è uguale per tutti») che si rinnovano nella storia (C’è anche il suo sudore / in mezzo a quelle pietre / ma lui non gode la vista / dell’opera magnifica / ha gli occhi cotti dal sole»), le atrocità troppo grandi persino per la mente di un dio, non assente, bensì presente e ironico, ma che forse avrebbe osato davvero molto meno rispetto agli uomini («mai avrebbe pensato / di punirci così tanto». Che il male sia un fatto principalmente umano lo si capisce anche da un altro modo con cui le persone si allontanano da se stesse: mortificando la propria identità nel tentativo di adottare quella del canone sociale che non ammette sbavature estetiche e alternative alla felicità da copertina («Io sono bella. Io mi voglio bene. Pancia – sedere – gambe. Io valgo. Io sono felice»); cercando un rifugio fittizio nell’indifferenza, creando il tabù dell’orrore, come se non ci riguardasse mai da vicino, fedeli alla pornografia del sorriso e del benessere («L’orrore / incessantemente/ si ripete / ma l’orrore / è sempre altrove»); compiendo la trasformazione in automa soggetto alle regole del marcato o la sostituzione alla macchina («La risorsa umana si è spezzata in più punti», «Lavorano come robot, disse l’A.D., allora usiamo / piuttosto dei robot»).
L’operazione poetica riesce grazie alla distanza che l’autrice pone tra sé e il testo, rendendolo quasi un mito contemporaneo, un paradigma del male, che attraversa l’umanità nel tempo e nello spazio. Ma in questo teatro della spersonalizzazione e del dolore, grazie all’oggettivazione compiuta, sebbene la catarsi collettiva sia ancora troppo lontana (ci sarà mai una pacificazione?), è vero anche che si aprono molte porte in noi lettori e non possiamo esimerci dal turbamento e dalla conseguente la riflessione su versi che ci parlano di noi così da vicino.
Isabella ha il viso fragile
e un cappotto rosso
di mattina.
Con gli altri pendolari
sul ciglio della strada
prima dell’alba cammina.
L’autobus si è rotto
ne aspetteranno un altro
faranno tardi
sono già stanchi.
Spalla contro spalla
ciascuno a testa bassa
si chiude nelle braccia
per il freddo.
Se solo alzassero gli occhi
per un momento
e si riconoscessero
le loro mute bestemmie
diventerebbero rivolta.
*
Lavorano come robot, disse l’A.D., allora usiamo
piuttosto dei robot, così disse pensando a Erich Fromm
mentre toglieva dalla sedia un essere per -così-dire vivente
e nel pianto convulso che colse quest’ultimo
la superiorità degli automi apparve subito evidente
*
Vesto nero più che mai
ma il contorno si vede
il contorno si muove
finché il corpo sparirà
cancellato
dalla voce torrentizia
solo la bocca, solo la bocca
e un silenzio improvviso
il rossetto che colora
un tremendo sorriso
Francesca Del Moro è nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della traduzione. Ha pubblicato i libri di poesia Fuori tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016), Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche), La statura della palma. Canti di martiri antiche (Cofine, 2019) ed Ex madre (Arcipelago Itaca, 2022, vincitrice del Premio “Tra Secchia e Panaro” e del Premio Taranto Poesia e Impegno Civile per la sezione Testimonianza). Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa e ha pubblicato una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire (Le Cáriti, 2010) e la traduzione dei Derniers Vers di Jules Laforgue (Marco Saya, 2020). Fa parte del collettivo Arts Factory e del Club Pavese+Tenco insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini, con le quali ha contribuito come traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), nonché allo spettacolo Rose gialle in una coppa nera dedicato a Cesare Pavese e Luigi Tenco (2018). Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014) prodotte da Fuzz Studio e ha partecipato alla realizzazione del primo album omonimo (2016). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie associazioni bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere.
コメント