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  • Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura a "Piccolo taccuino occasionale" di Davide Zizza

Piccolo taccuino occasionale (Ensemble 2020) di Davide Zizza presenta, come già il titolo ci suggerisce, la composizione propria del mosaico, nella quale l’unitarietà finale è data dall’accostamento di tanti tasselli tra loro diversi. Le poesie di questa raccolta, infatti, sia sul piano formale che contenutistico, vogliono arrivare all’uno passando dal molti poiché, sembra dirci Zizza, non è possibile un intero se non come somma di frammenti; così, accanto all’esternazione della percezione del quotidiano, c’è il richiamo e la citazione dei grandi autori della letteratura italiana e internazionale; insieme a una scrittura breve, tendente all’aforisma, c’è anche il verso che si allunga, che tenta di descrivere una sensazione. Quello che ne emerge è un’idea di spaesamento, propria della società contemporanea, in cui i sassi per ritrovare la strada di casa sono troppo pochi e smarrirsi è cosà facile. Anche sul piano temporale si avverte la medesima tensione: la sfera cronologica di riferimento non è infatti quella del crònos, del tempo colto nella sua durata, bensì quella del kairòs, dell'occasione, del tempo puntuale; c'è un unico hic et nunc ed è questo il solo attimo che abbiamo a disposizione.

Per tenere vigile la bussola, Zizza sceglie allora di non spegnere la fiaccola della parola, conscio della fatica del gesto e della non certezza del ritorno; ma è già nel tentativo la risposta: la scelta di ritrovare il cosmo nel caos, di uscire dal labirinto tenendo il filo tra le mani.



Rito


a L. Sciascia


La punta lacera in superficie,

quasi mordendo il petto –

pupazzo di carta nero pugnale,

rito vudù concertato fra la penna

e la mente, un antico giuramento

nel farsi male.



«Non accusare di povertà il giorno…»


Un improvviso frullio di ali.


Dal riquadro della finestra una colomba

scompare, riappare, si allontana, s’invola.

Un resto d’infinito, cirri e nuvole.

Rilke ricorda che non bisogna accusare

di povertà il giorno:

il poeta è l’unico responsabile.


Bisogna allora vedere, nel non vedere.


La mano rischia sulla tela

una fuga, una curva.


*


La mano si apre.

Il passo del sangue rallenta.


Nel petto riesci a contenere un cielo.

O il cielo.

Si torna così come si esce

dalla cecità dolorosa e cosciente della notte.


«La luce entra lentamente» mi dici.



Davide Zizza nasce a Crotone nel 1976. È dottore in lingue e letterature straniere con una tesi in filologia romanza. È redattore per il Litblog Poetarum Silva dove tiene la rubrica Bustine di zucchero. Nel 2000 diffonde la sua plaquette stampata privatamente, Mediterraneo. Nel 2012 per l’editore Rupe Mutevole pubblica la raccolta Dipinti & Introspettive e nel 2016 la raccolta di poesie Ruah (Edizioni Ensemble) con la prefazione di Enrico Testa. Il suo breve saggio La lettura e la scrittura come etiche dell’ascolto è inserito nel volume collettaneo Ascolto per scrivere (Fara Editore, 2014). Alcuni suoi contributi critici su Salvatore Quasimodo, Jules Laforgue e Robert Lowell sono apparsi in Grecia sulla rivista di poesia e letteratura Koukoutsi. Suoi articoli e poesie sono presenti in rete su vari blog e riviste. La sua ultima raccolta pubblicata è Piccolo taccuino occasionale (Edizioni Ensemble, 2020).

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