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  • Immagine del redattoreAlessandra Corbetta

Nota di lettura a "Milano dalle finestre dei bar" di Luca Vaglio

Milano è molto più di una città.

Affermazione, questa, che potrebbe essere replicata forse per qualsiasi luogo ma che qui, tra tram, viavai, velocità, palazzi e innovazione sembra più che mai prendere forma; e basta davvero camminarci anche per poco, alzare gli occhi come per farla rientrare tutta nello sguardo, che immediatamente ne si coglie la portata, l’intensità, le contraddizioni. Tra centro e periferia, un unicum che continua a essere fonte di ispirazione e a essere cantato: si pensi, solo per fare pochi esempi recenti, ai versi di Sereni, di Raboni, di Loi, di Fiori o di De Angelis.

Proprio dentro a una Milano così intesa – e dunque come topos consolidato di una tradizione poetica e, contestualmente, in qualità di luogo in grado di farsi prisma multisfaccettato – anche Luca Vaglio inscrive i propri versi, quelli di Milano dalle finestre dei bar (Marco Saya Edizioni, 2013), dove il punto di osservazione è fissato in «un’eco / di ferro che sta sospesa nel freddo», in una linea sottilissima nella quale riecheggia la solitudine che questa città come nessuna è in grado di far sentire e, allo stesso tempo, la facilità di percepirsi come parte di qualcosa che, seppur effimero, sa sospendere con vigore ogni forma di chiusura e isolamento: «luci basse / candele accese // basta così / a volte un segno / viene dalle cose». La Milano di Vaglio è certamente concretizzazione estrinseca di un paesaggio interiore ma è anche spazio reale, in cui la città si dispiega attraverso gli oggetti che la compongono e le azioni comuni che le persone eseguono mentre la abitano: «Milano è così bella e ruvida qui / mi siedo a un tavolino / guardo le persone attorno / scherzano, giocano / prendono da mangiare»; Milano va e sta ferma e ogni suo movimento, anche impercettibile, muove chi la osserva, fa sprofondare il suo pensiero costringendo a rivalutare i concetti di prossimità e distanza, nel tempo e nello spazio: «penso che fuori dai cassetti / ben ordinati della memoria / ci sia vicinanza tra le cose / che l’anima della distanza / sia un fatto di forma / che alla fine solo la paura / separi il passato dal futuro».

Con un lessico essenziale eppure sempre carico di pathos, Luca Vaglio riesce con particolare efficacia a restituire i chiaroscuri di una città complessa e incredibilmente affascinante, trasformando il punto di vista del singolo in quello di chiunque si trovi o si potrà trovare a transitare in questa città che, tra silenzi profondi e rumori assordanti, non smette mai di avere qualcosa da dire.



Luce fredda che vira

verso l'azzurro-grigio

nella sera di un aprile

di quasi estate

quadro minimo di infinito

nella grata della finestra

che guarda sul cortile


la metafisica delle cose

diventa sensibile

prende forma

se dentro un bar di Milano

si riesce a vedere fuori


*


Sei di mattina alla fine di agosto

bar ancora chiusi e quasi nessuna

auto, se ti siedi vicino al suolo

sotto un albero o sul marciapiede

di un incrocio ti accorgi che Milano

ha un suono, come un vento metafisico

che si muove tra le case forte, sordo

forse la nota continua della Terra

che vince sul silenzio della città


Linfa elettrica


Amore in eccesso

evade la vita reale

ma nel lato invisibile

linfa elettrica cura e trasfonde

libera come fuoco

rende anima a chi ne ha di meno


Luca Vaglio è uno scrittore e poeta che vive a Milano. Scrive di letteratura per diverse testate, tra cui Il Foglio, Gli Stati Generali, Forbes Italia e La Balena Bianca. Ha pubblicato il romanzo Il vuoto (Morellini Editore, 2019) e le raccolte di poesia Milano dalle finestre dei bar e Il mondo nel cerchio di cinque metri, Cosmologie per Marco Saya Editore, nel 2013, nel 2018 e nel 2022.

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