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Immagine del redattoreValentina Demuro

Nota di lettura a "Ciò che vedo è la luce" di Danila Di Croce

La poesia di Danila Di Croce in Ciò che vedo è la luce (peQuod, 2023)  ci offre versi eleganti e puliti, senza sbavature a minare il ritmo interno preciso e costante che ci accompagna nella lettura. I testi sono ricchi di immagini, sembra di osservare delle piccole narrazioni. Nelle parole di Di Croce, però, si fa subito chiaro un intento: attraversare le molte visioni per poter svestire i significati delle sue molteplici forme e arrivare, così, alla nudità semantica (»Chi davvero vede tiene in grembo / il desiderio e lo culla, anche a occhi /chiusi, perché sa che così si nasce, / così si vive.»). Così è lo sguardo sul tempo che porta necessariamente un cambiamento, una voce uguale e contraria si trova nella memoria che torna indietro («Anche il pane col tempo indurisce, / la neve s’addensa, il tronco si secca. / Io mi sogno nell’intenerirsi / delle ossa, nel tornare vagito.»). Davvero ciò che l’autrice vede è proprio la luce, perché è il suo occhio attento che scopre il cuore pulsante in ciò che costella la vita nel suo percorso. Con questo mi riferisco anche alle mancanze, potentissima presenza per ossimoro: «Fa male stasera la nostalgia / di te, che pure sei così vivo, / così presente».  In questo senso, è molto importante il ruolo dell’amore, tema declinato attraverso ogni tipo di esperienza, felice e infelice (anche attraverso i grandi topoi, come quello del fuoco). Infatti, se davvero di amore si tratta, non si può rimanere a margine del proprio cuore, comunque, lo stesso, ci si inabissa nel sentimento. Per chi ama non c’è tregua, l’amore trova sempre il modo di imporsi: Più profondamente conoscerti, / più profondamente. / Perché sono l’ape che ronza / attorno al fiore: / sta sui petali, rumorosa. / E non beve, non si posa.» Riuscire a trovare ancora chi ci manca nel vuoto che ha preso il suo posto è un atto di coraggio e di salvezza. Lo stesso, trovare bellezza nel fondo, qualcosa per cui valga la pena, anche se non è un’operazione semplice stendere «muscoli / e sogni nell’incanto del deserto», cercare «ancora impronte / dove l’asfalto non serba che polvere / e pietre per l’inerzia dei miei piedi / così costretti dai lacci del giorno». Una delle parole che compare più spesso, è “cielo”, come fosse l’unità di misura delle cose, una vastità significante, cercata non solo con gli occhi, ma anche nel proprio mondo interiore. Troviamo anche la parola “seme”, elemento, invece, piccolissimo, ma specchio di “cielo”, in quanto contiene in sé l’enormità del miracolo della vita. Il segreto puro, quindi, non è da cercare solamente nei grandi moti dell’esistenza: anche il gesto piccolo, la quiete di un bambino, si fanno simbolo che insegna: «Ieri ho visto un bimbo che dormiva / e ho pensato: anche questo è stare al mondo.». Questo libro è proprio il tentativo coraggioso di sollevare il velo di Maya, sciogliere i lacci del quotidiano, come una Semele che vuole vedere, vuole sapere, consapevole di andare incontro a grandi rischi: «sono io / piuttosto ad avvertire come pesa / lo scandalo della sincerità.» In questo tentativo, però, si nasconde un significato più profondo. Andare dentro l’amore, dentro la morte, dentro la vita, significa anche cercare di tornare a sé, di recuperare il senso di questa esistenza e tornare finalmente a casa.


Danila Di Croce, Alma Poesia

Di tutto quello che non ho capito

– una casa nuova da abitare –

faccio erede l’alba di domani

e i suoi colori, perché più scoperte

stanze possano sfoltire l’aria

densa di segreti. Sarà un preludio

rosa che si compone, se la notte

non è che il buio muto di un trasloco.


*


Si nasce semplici, che quasi è un abito

la verità – di pelle, odore e lacrime –

da rammendare.

Fragili, ma tesi

i nervi e sicuro il cuore al suono

schietto delle voci.

Senza una luce

certa a fare strada, eppure esperti

già di cammino e di calore.

Liberi

si nasce e leggeri: soltanto un battito

per salutare

e il fiato che dall’alto

s’acquieta a un mondo e a un tempo nuovo,

come sporgendosi da un balcone.


*


Più difficile è rimanere,

saldarsi nella scelta come un sale

perso nell’acqua, ma capace ancora

di bruciare.

Rimanere

è l’arte del fiore che s’apre al giorno,

che non cede quando è la terra

a tremare e il suo profumo

è un canto che parla di casa.


*


Quello che deve accadere

accadrà, comunque.

Ma, almeno, per quei passi

mi farò terra umida e molle,

perché l’orma s’imprima senza lotta

e resti un solco fresco

per il verde della mia primavera.


Danila Di Croce, Alma Poesia

Danila Di Croce vive ad Atessa (CH) ed è docente di Lettere nel Liceo Scientifico. Con la silloge Ciò che vedo è la luce è risultata vincitrice al Premio InediTO – Colline di Torino 2022. Nel 2023 si è classificata prima con testi inediti nei seguenti premi letterari: Lago Gerundo, Daniela Cairoli, Chiaramonte Gulfi – Premio Sygla, Arturo Giovannitti (con la silloge Dove ancora non siamo nati), Città di Acqui Terme e Città di Sant’Anastasia. È stata premiata o è risultata finalista anche ai concorsi Gozzano, Europa in versi, Bo-Descalzo, Città di Como, Ossi di Seppia, Arcipelago itaca, Gianmario Lucini, Sinestetica, Rodolfo Valentino, Poeti Oggi. Suoi testi figurano nel Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (AA. VV., Arcipelago itaca, 2023) e su alcuni blog e antologie legate a premi letterari. Ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, Punto coronato (ed. Carabba), nel 2011 e prossimamente uscirà per la casa editrice puntoacapo l’opera vincitrice del Premio Lago Gerundo 2023.


 

        

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