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  • Immagine del redattoreGiuseppe Cavaleri

Le Giovani Interviste di Alma: Matteo Meloni

Aggiornamento: 15 apr 2022

Continuiamo con Matteo Meloni il nuovo spazio "Le Giovani Interviste di Alma", dedicato alla messa a fuoco del pensiero e della poetica di giovani autrici e autori talentuosi.


I primi sette appuntamenti saranno dedicati alle poetesse e ai poeti inclusi nel Quindicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos 2021).



Allora

non più graduale la luce e il colore,

ma accecante un bagliore scioglierà

dalla cima più alta le storie

i ricordi, le minime impressioni


Già in questa che è la poesia d’apertura de La danza degli aironi “Quindicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea” (Marcos y Marcos 2021) la natura si presenta; anzi, è proprio il caso dirlo, appare nel suo risvolto quasi epifanico di rivelatrice sia della storia maiuscola, collettiva, nella quale siamo tutti immersi sia di quella individuale, filtrata dalla memoria e dalle impressioni. Vorrei partire proprio da qui, chiedendoti cosa rappresenta per te la montagna e soprattutto quale è l’insegnamento, se un insegnamento c’è, che possiamo trarre dall’osservazione del paesaggio e dalle sue intersezioni con la storia collettiva, ma anche individuale?


Credo che la montagna sia uno dei pochi ambienti (quando non abbattuta dalle piste da scii) dove ancora sia visibile un equilibrio tra l’impronta della storia umana e le necessità della biologia, che ne segna il perimetro. Di qui la percezione diversa della Storia stessa, attraversata dal senso del limite dell’agire umano, dell’assurda fatica del suo voler durare.

Io poi non sono uno scalatore, né un amante delle vette. Nel senso che non vedo la montagna come un oggetto da conquistare (attraverso la scalata), bensì un ambiente da esplorare, con garbo e timidezza. Bisogna che la montagna conservi buona parte della sua alterità perché si manifesti per davvero e ci lasci la sensazione di esserne solo ospiti, al massimo abitanti, ma mai padroni. Un insegnamento, dicevi? Forse, azzarderei, imparare a disinnescare l’antropocentrismo. La montagna è lì, frastagliata ma costante, alta sulle città, coricate, sempre più fragili e inquinate.


Dal moto stagionale e irrequieto dei tanti uccelli migratori, passando per la fissità quieta e terribile delle vette osservate dalla città, le poesie sembrano avere una forte dimensione ecologica, intendendo cioè la dimensione irrimediabilmente relazionale che c’è tra gli organismi in un ecosistema. Proprio la ricerca di un equilibrio e di un’integrazione tra i vari attori di questo sistema, il moto umano e quello ben più ampio e dilatato della geologia e della natura, è un tema che percorre sotterraneo tutti i testi e che Fabio Pusterla giustamente evidenzia nella prefazione.

Gli aironi soprattutto, animali migratori, catturati nella liricità di una danza a filo d’acqua, sono anche i padroni del «palcoscenico della caccia» e rimandano anche all’indifferenza, all’enigmaticità del paesaggio stesso. Ti vorrei chiedere il percorso che ha portato all’elaborazione di questi testi e quale è per te il ruolo della rielaborazione poetica nell’incontro tra essere umano e natura?


La danza degli aironi nasce dagli ultimi tre anni di scrittura, per me necessaria e in parte catartica. Necessaria per trovare un mio verso, dopo anni di apprendistato poetico; catartica, se così possiamo dire, per affrontare una situazione critica personale (che pure non compare mai direttamente nei testi). All’origine vi è una “sterzata” fuori dalla Storia e dall’affondo diretto, esistenziale, di una certa poesia, di cui pure mi ero nutrito in passato. Per strade traverse ho cercato di scrivere i resoconti del mio abitare a contatto con un mondo non umano, con forme di vita intrecciate alle nostre eppure spesso invisibili. Così ho camminato molto, letto svariati libri sul mondo vegetale e animale che osservavo quotidianamente, perlustrato centinaia di volte le colline di Pinerolo. Per certi periodi mi aggiravo per la città totalmente assuefatto dagli alberi, come palazzi antichi che non avevo mai notato prima.

Anche se non parlerei di essere umani e natura come due elementi distinti, ma neanche di cultura e natura, credo che la rielaborazione poetica sia servita a connettere i significati, come è stato detto, del ritmo individuale, storico e biologico della vita. Cogliere, voglio dire, con la poesia il rapporto con il mondo naturale in stato di equilibrio, consapevoli della sua transitorietà. Di qui la sapienza gestuale della “danza” degli aironi, maestri trampolieri, che ha in sé un’ironia tragica, e perciò appunto catartica.


Quando si entra così a fondo in un paesaggio, non si può non pensare a un autore ormai imprescindibile come Andrea Zanzotto, ma anche ad Antonia Pozzi, che tu stesso citi in epigrafe, o a Giampiero Neri, di cui parla Fabio Pusterla nella prefazione. Ma il discorso si potrebbe allargare alla prosa e alla fotografia con Rigoni Stern e Adams. Quali sono quindi gli autori che frequenti maggiormente e, se è vero che ogni opera è in parte anche imitazione, ce ne sono alcuni che hanno ispirato questa raccolta?


Oltre a quelli che hai citato, ti direi Omero, i lirici greci, Lucrezio, Emily Dickinson, Vittorio Sereni, Francesco Scarabicchi, Franca Mancinelli e Fabio Pusterla stesso. E non posso non pensare anche ad alcuni poeti piemontesi: Beppe Mariano, Tiziano Fratus, Sergio Gallo e Gian Piero Casagrande. Ma forse più della poesia mi hanno ispirato letture scientifiche e storiche: botanica, scienze forestali, paleoantropologia, storia locale.


Vorrei spostare la conversazione sul discorso relativo a poesia e Rete, di cui Alma è attenta a raccogliere testimonianze. Sappiamo che il dibattito attuale si muove passando da una posizione all’altra, riassumibili in “la Rete sta rovinando la poesia” oppure “la Rete salverà la poesia”. In questa dicotomia, semplificatrice e banalizzante di un fenomeno ben più complesso, si intravede, però, una realtà indiscutibile e cioè che i nuovi linguaggi della Rete hanno avuto un impatto rilevante su quelli poetici, in termini di comunicazione, diffusione e, forse, anche su forme e contenuti.

Qual è la tua posizione a riguardo? Come vedi il futuro della poesia in relazione alle sue interconnessioni con il Web?


Per cominciare distinguerei l’impatto della Rete sull’attivismo poetico (gli innumerevoli eventi che riguardano la poesia) da quello sulla poesia stessa. Se per il primo riesco a vederci vantaggi spiccioli (diffusione, pubblicità, etc.) sul secondo nutro forti perplessità, soprattutto in Italia. Provo a spiegarne una.

I social network, per esempio, non contemplano il valore semantico del silenzio, dell’assenza, immersi come sono nella ridondanza dell’Uguale. La poesia sì: anzi, forse è l’ultimo baluardo della significazione del silenzio, dell’invisibile, dell’estraneo. Chi non pubblica sui social non è in silenzio, semplicemente non esiste, in quanto l’attenzione è catturata totalmente dalla “presenza” di qualcos’altro, da ciò che risulta più visibile. Ogni quiescenza è bandita. Questo meccanismo porta a una dittatura psicologica della presenza, che acuisce quella paura di scomparire che già gli esseri umani hanno e sanno di avere. Il risultato è spesso un coacervo di voci ansiose e capricciose, capaci di tante falsità: dall’aspirante poeta (più o meno fesso) in cerca di celebrità, all’anziano e affermato poeta che ne è nauseato ma ormai assuefatto. Tutto, poi, si riflette sulla scrittura stessa.

La Rete, in questo senso, fomenta il desiderio di essere riconosciuti poeti, cioè protagonisti. Nulla a che vedere, per me, con la poesia, che si nutre insieme di apparizione e sparizione, parola e silenzio. Farei un esperimento, all’insegna della discrezione: che cosa accadrebbe se per un anno si smettesse di pubblicare su Internet poesia o parole sulla poesia e ci si prendesse il tempo per leggerla, con attenzione, in solitudine, nel più totale anonimato?


Siamo nel 2021, eppure il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurito: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e pure nel panorama poetico contemporaneo.

Alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout-court e in riferimento anche alla conta che sempre viene fatta di autori uomini e autrici donne presenti in lavori corali come quello di cui il tuo La danza degli aironi fa parte, come inquadri l’argomento e qual è la tua opinione a riguardo? Soprattutto, prevedi un’evoluzione verso altre traiettorie per un futuro prossimo?


È un discorso complesso su cui per ora non riesco a far luce. Credo però che le specificità di genere siano spesso care a chi, in fondo in fondo, le nega. Il “tema del femminile” talvolta mi sembra una rielaborazione subdola della cultura di un potere maschilista che tenta di appropriarsi dell’unica dimensione che ancora non può realmente possedere: quella femminile, appunto. Tutti vogliono la confessione di Briseide, l’intervista.

Se i diritti intellettuali, dunque politici, ed espressivi di ogni essere (umano e non) sono per me innegabili, la poesia – o almeno una certa poesia – potrebbe al riguardo accogliere e rilanciare una sfida: superare la concezione gerarchica e retriva della società, comprendere le interconnessioni che uniscono “femminile” e “maschile”.


Ti chiedo di scegliere da La danza degli aironi tre testi e di riportarli qui per le lettrici e i lettori di Alma.


Peira Eicrita


Scivola sulla pietra incisa di montagna

il riverbero, l’eclissi di luna.


Chissà che dall’arenaria compatta

non possa un reduce venire alla luce,

tagliare una via

tra le falde, urtare

il tiepido sonno della foresta.



*


Portano doni offerte generose

quegli sciami di farfalle

nel cuore dell’estate.


Vanno tra le curve dove piega

la collina sulle case

un oracolo di oleandri.




*


Les oiseaux journaliers me sauveront peut-être

Philippe Jaccottet




A certe altezze qualcosa permane,

un sottofondo un azzurro

identico nonnulla –

parla adesso per loro una maschera di nuvole.


Cercano il riposo

degli alberi, le pazienti praterie.

Nel sonno tra le piume li guida

il petto ampio della terra.


Matteo Meloni è nato a Roma nel 1990. Laureato in Letteratura italiana presso l’Università di Torino, da tempo vive ai piedi delle Alpi Cozie, a Pinerolo (To), dove insegna materie letterarie nei licei. Dal 2016 è membro del Circolo dei Lettori di Pinerolo e direttore artistico del festival “Pinerolo Poesia”. In questi anni ha pubblicato testi di poesia e di critica letteraria in antologie (Premio Lorenzo Cresti, Premio Mario Luzi), blog e riviste (“Atelieronline” “Apertura Critica”, “In Limine”, “Interno Poesia”, “Inverso”, “Poesia”, “Smerilliana”, “Alma Poesia”, “Diario di passo”). Nel 2019 ha partecipato con alcuni inediti all’edizione di Parco Poesia (“Talenti all’opera: un’ora per amare la poesia”). Dal 2020 è dottorando presso la UNC (The University of North Carolina at Chapel Hill).

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