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Intervista a Ida Travi

Aggiornamento: 26 gen 2021

Questa è l'intervista che Alessia Bronico ha fatto a Ida Travi, a partire dai sette libri dei Tolki fino a conversare sul senso di saga in poesia, della questione del gender e della Rete e molto altro.


L'intervista si chiude con un inedito che Travi regala ad Alma e a tutti i suoi lettori.


Ida Travi (Ph. Guido Mencari)

Tasàr animale sotto la neve (Moretti & Vitali, 2018) è il quinto libro dei Tolki. Daniele Barbieri nella nota conclusiva al libro scrive: «Non è mai chiaro del tutto che cosa distingua il mondo dei Tolki dal nostro. Forse c’è una catastrofe, in passato, a marcare la cesura, come suggerisce Alessandra Pagliaru nelle sue note ai diversi volumi, o forse no. Di fatto ogni tanto si accenna ad automobili, al bus, allo schermo, elementi tipici della nostra quotidianità; ma non sembrano realtà centrali o importanti.» Di che mondo sono i Tolki, da dove arrivano e dove vanno?


Per Tolki si intendono i parlanti. Tolki è una parola inventata per slittamento di senso e sonoro dal verbo inglese ‘to talk’. Tolki si legge così come si scrive, i Tolki non distinguono tra scritto e parlato. Un Tolki è un parlêtre, un essere marchiato dal linguaggio. Parlêtre è un neologismo di Lacan che fonde l’essere al linguaggio, nell’atto della pronuncia. Intendo i Tolki come esseri umani semplici, lavoranti o non lavoranti, esseri che hanno assunto poeticamente in sé il peso d’un linguaggio ‘ridotto all’osso’, duro come una colpa, leggero come una liberazione. I sette libri dei Tolki formano una serie di poesia contemporanea pubblicata dal 2011 al 2020. I primi cinque libri sono editi da Moretti & Vitali Editori, il sesto libro è inedito perché s’è perduto… E del settimo libro dirò tra poco. Olin, Zet, Sasa, Ur, Kraus, Dora Pal e tutti gli altri: i Tolki vanno e vengono da un libro all’altro, trasfigurati nei tratti e nel nome. Sono loro e non sono più loro. Vivono dentro a una specie d’eternità che si prolunga in serie. L’idea della serie poetica è nata alla fine del primo libro quando ho sentito che non riuscivo a staccarmi dalle creature che andavo inventando, è così che ho deciso d’andare avanti con loro. Una serie poetica contemporanea? Non c’era nulla di simile in poesia dieci anni fa, almeno in Italia, e forse neppure ora. Il primo elemento è il tempo. In una sequenza così prolungata devi misurarti con un tempo lunghissimo, devi stare incollata al tempo, non puoi accelerare il percorso. Devi stare a fuoco su un progetto di cui non vedi la fine, per dieci o più anni, chissà… ma devi farlo, altrimenti tutta l’opera si disfa. Anche le postfazioni di Alessandra Pigliaru sono entrate in quest’ordine di tempo: la parola di Alessandra Pigliaru entra tra i Tolki e guarda, non si smarrisce, passa dal cotonificio, dal sottoscala, dall’ex-magazzino, quasi figura tra le figure. Nel quinto libro si unisce lo sguardo di Daniele Barbieri e anche la sua parola s’aggira per i campi, e incontra il bambino, la neve, l’insalata, la terra, il casolare, la campana, il vento, la farina, fino alla groppa dell’asino Tasàr.


Marie canta la famiglia del secolo (Edizioni volatili, 2020) è il settimo libro dei Tolki, che fine ha fatto il sesto? Che mi dice delle partiture visive di Giuditta Chiaraluce? Ci racconti come nasce questa raccolta e chi è la «famiglia del secolo».


In realtà la perdita del sesto libro ha avuto la funzione di interrompere la serie, cioè di ribadirla. Il settimo libro Marìe canta la famiglia del secolo, Edizioni Volatili a cura di Giorgiomaria Cornelio, riprende il rapporto parola-immagine in una specie di montaggio attraverso le partiture visive di Giuditta Chiaraluce. Marìe canta la famiglia del secolo ribadisce il legame tra la mia poesia e il cinema: Marìe rimanda alla ragazza Marie in Au Hazard Balthazar, film di Robert Bresson. Accanto a lei nel film compariva il grigio asino Balthazar, da me ripreso e ricollocato tra i Tolki con il nome di Tasàr: figura arcaica, cristologica. Nelle pagine finali un Tolkisi china all’orecchio dell’asino e come in una natività sussurra: saremo la famiglia del secolo/saremo la famiglia di questo secolo

La famiglia dei Tolki è sin dall’inizio una famiglia secolare: questi esseri, uomini, donne, bambini e animali, vivono insieme come una famiglia ma non sono una famiglia: il vecchio non è il padre, la vecchia non è la madre, i fratelli vengono dai poli opposti del mondo, è gli altri chi sono? chi sono? Ogni prefigurazione è un mistero, è tutta una mancanza. Ed è così che i Tolki vanno ancora cercando la ragazza: Marìe, Marìe… dove sei Marìe…


(la macchina)


La macchina è ferma, Zet

qui si inginocchiano

solo i bambini


La neve è arrivata

dal secolo opposto

come faremo, adesso?


Ho notato, leggendo il suo ultimo lavoro, che anche in queste pagine sono presenti la «neve», i «bambini», è presente il mistero. È un’esigenza narrativa, un filo che lega i libri?


Il bambino e la neve sono figure ferme nella mia scrittura, lo sono da sempre, sin dai primi libri pubblicati negli anni novanta. La neve, il bambino, la casa, il recinto: queste parole-immagini formano certamente un tessuto che ha tenuto raccolto tutto. Ricordo un verso della raccolta La corsa dei fuochi, poesie per la musica, del 2006. Il verso diceva: il bambino non ha ancora sorriso / perché gli hai dato un nome? Ama tutti allo stesso modo / odia tutti allo stesso modo… Il mistero poi non è un mistero, è solo la nostra cecità.


Immaginiamo che ci stia leggendo un neofita della poesia di Ida Travi, chi sono i Tolki?


Appoggiati allo steccato, con i loro grembiuli collettivi i Tolki sembrano indecisi se sporgersi verso un passato o verso un avvenire che a malapena balugina là, all’orizzonte. Come se, dal punto in cui sono, i Tolki stessero lì a guardare per secoli le pallide luci d’una città lontana. I Tolki vivono in comunità ma non sono una comunità. Ogni Tolki è un solitario smarrito in un vivere comune. Il tempo da qualche parte s’è contratto e ha messo questi esseri e gli oggetti in nuovo rapporto tra loro: c’è la candela e c’è lo schermo, e sono sulla stesso piano. C’è l’automobile e la vanga. C’è il foglio e la pompa di benzina, ma sono come appiattiti, ravvicinati, ed è così che si rianimano…


Daniele Barbieri parla del suo lavoro in versi come di prima saga contemporanea.

La poesia di Ida Travi è un’epica in versi, quali sono le ragioni di questa originale scelta?


Daniele Barbieri ha colto subito questo aspetto della saga: c’è uno sguardo protratto e genera inquietudine. Come un cerino tenuto a lungo accostato all’inconscio… Ma, a proposito di saga, c’è un’altra cosa che voglio dire qui: non vi colpisce l’assonanza Tolki, Tolkien? Quando ho inventato il nome Tolki, non mi sono affatto resa conto dell’assonanza, eppure quel Tolki e Tolkien suonano così simili… Ah, ecco! John Ronald Reuel Tolkien, il Signore degli anelli! Che strana assonanza … Non c’era intenzione d’accostamento da parte mia, eppure il suono era così simile… come ho potuto non rendermene conto? A ripensarci in effetti, c’era stato un tempo in cui ogni sera prima di dormire leggevo a mio figlio Il signore degli anelli… leggevo il grande tomo a pezzetti, alla piccola luce d’una lampada… E sera dopo sera passò l’autunno, passò l’inverno, e quando finì l’inverno… in una sera più chiara anche il libro finì! ‘ È finito!’ disse mio figlio in lacrime, ‘come faremo adesso? come faremo?’ Finì che dimenticai Tolkien, dimenticai l’anello… finché un giorno al tavolo d’una biblioteca, senza ragione alcuna, mi ritrovai all’improvviso sotto gli occhi una strana parola inventata da Tolkien: eucatastrofe. È una parola di cui parla Tolkien stesso in una lettera al piccolo figlio malato: eucatastrofe. Cioè andrà bene, guarirai! Con eucatastrofe Tolkien intendeva il capovolgimento repentino d’un male in bene, e il prefisso eu indicava quel bene una grazia improvvisa e miracolosa, una grazia su cui mai una persona deve contare nei suoi piani. Non salva dall’esperienza del dolore e del fallimento ma nega la sconfitta come definitiva, universale.” Un bene? Una grazia? Chissà… certo è che tra mille rimandi all’improvviso mi fu chiara la folle logica poetica per cui se i Tolki erano i parlanti, allora Tolkien era il parlante per eccellenza, il narratore, e portava questo suo destino di narrante impresso nel nome, sin dalla nascita. Lo slittamento sonoro del verbo to talk, la pronuncia meticcia, lo scritto e il parlato che si fondono… Certo, sono solo cortocircuiti fantastici, puro immaginario, è solo poesia, ma l’associazione Tolki, Tolkien era lì sotto ai miei occhi. Sono i movimenti segreti della mente, sono i cumuli della memoria, sono le associazioni misteriose e una strana esultanza dell’essere … ragione poetica, direbbe Maria Zambrano. Forse per i Tolki l’evento eucatastrofico, resterà per sempre laggiù all’orizzonte, in quel bianco baluginare di neve tra le luci d’una città lontana, eppure…


In Poetica del basso continuo (Moretti&Vitali, 2015) lei scrive: «In basso, nel pericolo e nella fragilità comincia la rivoluzione del linguaggio poetico. Con quella lingua come appoggio, penso, si può parlare e procedere con minor danno. E il linguaggio del battito cardiaco, con qualche inciampo, prima del discorso. È il linguaggio più vicino all’agire». La parola è azione?


Si, per me la parola è una forma di agire, nello spirituale. Se lasciata a sé stessa la parola, se privata dell’aggancio con l’agire, se separata dal passo, dalla pronuncia, se dimentica del movimento della mano, se staccata dal movimento delle labbra, se la parola non abbassa la testa, se la parola non sfronda, se non accompagna l’attacco o la danza, se non si alza dalla sedia, se non tossisce, se non inciampa allora la parola è cattiva letteratura, quando non imbroglio.


Siamo nel 2021, eppure il dibattito intorno alla questione del gender in poesia sembra non essersi ancora esaurita: da una parte ci si continua a chiedere se, in effetti, la poesia possa averne uno o se, in quanto arte, prescinda da qualsiasi suddivisione a riguardo; dall’altra l’inevitabile constatazione della prevalenza di poeti uomini nelle antologie scolastiche e pure nel panorama poetico contemporaneo. Anche alla luce della preponderanza che il tema del femminile sta assumendo nel dibattito odierno tout-court, come inquadra l’argomento e qual è la sua opinione a riguardo? Soprattutto, prevede un’evoluzione verso altre traiettorie per un futuro prossimo?


È una vecchia questione, antica direi… Molti anni fa ho scritto un testo per il teatro, un atto tragico edito da Baldini & Castoldi nel 2005. Si intitolava Diotima e la suonatrice di flauto. In quella drammaturgia tornavo al V secolo a. C, precisamente alla sera in cui, a casa di Agatone, si tiene il famoso Simposio, così come descritto nel celebre Dialogo di Platone. Quella sera per consentire ai convenuti di fare liberamente il loro elogio sull’ Amore, i filosofi lì riuniti - tutti uomini - decidono di allontanare la suonatrice di flauto che fino a quel momento aveva allietato la serata. La flautista esce dunque dalla sala e scompare nel nulla…esce dalla stanza e nessuno ne parlerà mai più. Fuori! Così è stato per secoli. Fuori dalla stanza dell’arte, della musica, della scienza, della poesia… quanti secoli ci sono voluti prima che una donna potesse rientrare in quella sala? Nel mio racconto, una volta fuori dalla sala della filosofia, sul sentiero degli ulivi che scende fino al Pireo, la flautista incontra Diotima, altra grande assente dal Simposio, se pur da Socrate dichiarata maestra. Le due si incontrano, e che succede? Che accade dunque là fuori, su quel sentiero tra gli ulivi? L’atto è tragico, va detto, nessuna traccia di commedia.


Spostiamo la conversazione sul discorso relativo a poesia e Rete, di cui Alma è attenta a raccogliere testimonianze. Il dibattito attuale si muove passando da una posizione all’altra, riassumibili in “la Rete sta rovinando la poesia” oppure “la Rete salverà la poesia”. In questa dicotomia, semplificatrice e banalizzante di un fenomeno ben più complesso, si intravede, però, una realtà indiscutibile e cioè che i nuovi linguaggi della Rete hanno avuto un impatto rilevante su quelli poetici, in termini di comunicazione, diffusione e, forse, anche su forme e contenuti. Come vede il futuro della poesia in relazione alle sue interconnessioni con il Web?


La poesia in rete subisce la stessa sorte d’ogni cosa presa nella rete: da un lato diffusione e movimento orizzontale, d’altro lato quasi una cancellazione rapida, una sepoltura sotto il troppo. Il troppo è un’insidia per forme e contenuti: c’è una presa di luce per un attimo e poi una tonalità indistinta avvolge ogni cosa… la rete è un mezzo potente, onnivoro, è più che un mezzo, è una bocca, è uno sguardo compulsivo, e lentamente ci consuma. Presumo che si andrà avanti così, certo, ma bisognerebbe stare attenti. Per fortuna ogni tanto, ciascuno ritrova la sua solitudine e il momento creativo è salvo.


La consuetudine di Alma è quella di andare a frugare nei cassetti di ogni autore per scovare un inedito.


(veniva avanti il leone)


Veniva avanti il leone

fuggiva la farfalla


Era la terza giornata

era il terzo canto del fiume

e tu solitario restavi

all’ombra del muro


- un secolo, due secoli -


E questo per niente, per niente

solo per arrivare a casa

quando s’apre la porta di colpo

e tutti coperti di cenere

entrano a uno a uno

i sette figli di Kraus.


I titoli dei sette libri della serie dei Tolki


Tà poesia dello spiraglio e della neve (Moretti&Vitali, 2011)

Il mio nome è Inna ( Moretti&Vitali, 2012)

3° Katrin saluti dalla casa di nessuno (Moretti&Vitali 2013)

Dora Pal, la terra (Moretti&Vitali 2017)

5° Tasàr, animale sotto la neve (Moretti&Vitali 2018)

il sesto libro s’è perduto (inedito)

Marìe canta la famiglia del secolo (Edizioni Volatili, 2020)



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