Gli inediti di Davide Gallo
Ogni percorso ha un suo inizio e una sua fine; Davide Gallo, in questi inediti, si concentra sul tramonto delle cose e sul conseguente senso di assenza che permane dopo la loro conclusione. Con un lessico mutuato dal quotidiano e una costruzione del testo che tende, per struttura e composizione, alla narrazione, senza mai perdere però l’attenzione al suono e al ritmo, Gallo ci fa entrare in luoghi, dinamiche e parole che hanno conosciuto un legame profondo, di quelli che, come un’impronta marcata nel terreno umido, permangono anche a seguito del loro compimento. Diversi sono i termini che l’autore sceglie per evidenziare il punto di arrivo e il binomio presenza/assenza fa da sostrato a tutti i testi dai quali non emerge però una proposta risolutiva al dolore e alla sofferenza causati dall’addio, quanto piuttosto una ferrea volontà di attraversamento, perché se tornare indietro non è mai possibile, è invece doveroso guardare avanti usando, come molla iniziale per farlo, la spinta dei ricordi.
Ho tracciato un solco intorno alla solita piastrella
nei lunghi colloqui che di te
attendevano presenza.
La strada da casa al market e ritorno
l’ho ripercorsa con occhi chiusi da rider
cercando la tua traccia scomposta
dietro il piscio ottuso e affollamenti di profumi.
Ma era già la mia sorte appannata – lo sapevo
bene – perdere il tuo volto e altri cento
inghiottiti in un’anagrafe di addii.
Non è addomesticando i palmi che ne eludi i presagi
ma i crampi genuini – dicevi –
sono il doppiofondo per scolpirsi audaci.
La mia rappresaglia è questo lungo cercarti
non importano le scarpe logore, i mutamenti di voce
nelle ossa, una mano che sancisce la partenza
e il ritorno o confondere questi ultimi – no, non importa –
se nei corpi e le ginocchia torna il cigolio di
quella porta che si trascina al tuo ultimo saluto.
*
Non c’eri più
nei fondi di bottiglia addomesticati dalla mancanza
nelle sigarette su cui si strattonano di
attesa le dita;
nel lungo farneticare di abbracci
con la voce distratta e divisa
in una doppia vita che cerca appiglio
alle clavicole strette dal biasimo
di chi resta;
nei calendari tatuati
con conti alla rovescia di routine:
il giorno prima del ritorno non aveva
previsto scorie e colpe ad aspettare in fila
dietro la porta della partenza.
Gli annegati ti guardano con occhi di
acquario mostrandoti la lista dei giorni
frequentati dai cani.
Ma tu non c’eri
la terra crepava d’invidia gli stradali
bucavano le ruote.
chi parte muore a metà:
c’è una pace di colpa cristiana:
un silenzio di malaria.
*
Arriverai alla fine del tempo
indifferente come un notturno – lascerai
straparlare gli sguardi, con del rimorso –
io resterò a scavare con le dita 50 metri
di assenza mentre cronometri gli scatti.
Arriverai di nuovo il giorno dopo
la fine del tempo, mi farò trovare
a passeggiare per caso con la musica più
triste, per fingere ricercatezza
con lo sguardo serio. passi.
il tempo ora è una scatoletta, si spalanca
con le mani nella nebbia – inutilmente –.
si raddensano i muscoli umidi, scoloro
nelle aiuole: questo è il mio ultimo trambusto.

Davide Gallo (Bari, 1996) ha una conseguito una laurea in Lettere Moderne. Attualmente a Bologna per completare il corso di Italianistica, scrive e legge poesia. Tra i lettori più amati: Amelia Rosselli per una grammatica della poesia che sia libera e aggressiva senza essere banale come in certi prosimetri di Variazioni Belliche, Giorgio Caproni per la leggerezza di Battendo a macchina e del Congedo, Antonella Anedda per il dialogo con i quasi morti di Residenze Invernali, Patrizia Cavalli per l’abilità di rendere l’ironia e l’autoironia con l’agilità di certe poesie di Le mie poesie non cambieranno il mondo, Pierluigi Cappello con la sua fine malinconia sempre un po’ sporca di terra, Chandra Livia Candiani che ha saputo parlare con amore infinito del corpo che la sostiene in La domanda della sete.
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