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  • Immagine del redattoreAlessia Bronico

Editoriale Poesia & Rete (appuntamento n°10)

Continua, con questo nono incontro, l'editoriale su Poesia & Rete, a cura di Alessandra Corbetta, un progetto trasversale alle pubblicazioni del blog che proverà a monitorare, attraverso interventi di diversa natura, lo stato delle interrelazioni tra il linguaggio poetico e le dinamiche del Web.


Chi volesse segnalarci studi o ricerche su questo argomento o desiderasse contribuire ad arricchire con competenza il dibattito, può farlo scrivendo a redazione@almapoesia.it, specificando in oggetto “Editoriale Poesia & Rete”; tutto il materiale pervenuto verrà sottoposto a lettura e quello ritenuto più interessante e valevole verrà proposto all’interno del progetto.


L'ospite di oggi è Trameferite; l'intervista è stata curata e realizzata da Alessia Bronico



Trameferite è un poeta della rete, in special modo di Twitter. Lì l’ho incontrato qualche anno fa e da lì non si è mai spostato, per quanto io ne sappia. Iniziamo dal tuo pseudonimo: unisci un sostantivo che parla di tessiture e legami, in qualche modo, ad un aggettivo che denota dolore, cosa intendi comunicare?


Trameferite ha seguito un po’ l’evoluzione delle piattaforme in rete approdando su Twitter nel 2012. Twitter è stato scelto proprio per il vincolo del numero dei caratteri massimi utilizzabili.

L’arte ha poco a che fare con la libera libertà anarcoide e sentimentale, ha urgente bisogno di vincoli, regole, un ingegnere o un fisico, utilizzando la meccanica razionale, parlerebbe di gradi di libertà.

Scrivo versi su Twitter e al momento prevedo di rimanerci, in rete c’è anche un blog precedente che contiene componimenti più lunghi con altri tipi di vincoli rispetto a quelli di Twitter, dei vincoli autoimposti e talvolta sincronici rispetto alla vita che vivevo in quegli anni.

Hai ragione sul nome Trameferite, può indurre a pensare al dolore e alle sue espressioni, ricordando però che anche il dolore si impara.

Tuttavia, inizialmente e almeno in parte, l’idea del titolo evidenzia anche l’espressione dell’arte attraverso la costruzione di un unico dire, di una voce sola intorno ad un tema centrale.

Molta critica e parte del mondo accademico sostiene che l’autore in letteratura scriverebbe nella sua vita una sola unica opera suddivisa poi in più libri che ne costituirebbero in realtà i capitoli.

Trameferite allude al fatto che questa unica voce ossessiva, nella pratica concreta dello scrivere, viene continuamente ferita e spesso le reiterate ferite inferte sono micidialmente opera della vita cosiddetta reale.

Accade così che questa trama centrale o le diverse trame riconducibili a quella, arriva o arrivano ad essere spezzate e sanguinanti, del resto il tema dei rapporti tra letteratura e vita concreta è fondamentale, al netto di tutte le finte rappresentazioni contemporanee sull’autobiografismo con i vari neologismi anglofoni ereditati.

Se ne parla efficacemente nel recente bel dialogo tra Claudio Magris e Paolo di Paolo (Inventarsi una vita - Un dialogo, La nave di Teseo).

Per l’altra questione da te sollevata, scusami ma davvero non so cosa intendo comunicare, sono proprio allergico a questa parola, che pure ha un senso, poverina, negli studi sociologici. Ma la letteratura non deve comunicare, si deve avere la necessità dello scrivere, altrimenti anche lo scrivere diventa solo un mestiere, legittimo per carità, ma non distinguibile dalle tante professioni intellettuali della società di massa. La letteratura deve dire, urlare, senza la presunzione di farlo.


La tua immagine del profilo ci presenta un noto poeta del secolo scorso, anziano e sorridente. Vuoi dirci di chi si tratta e perché hai scelto proprio lui?


Giuseppe Ungaretti è tra i miei poeti preferiti e per molti suoi versi il preferito, almeno tra quelli novecenteschi. È vero che nasce nel 1888 ma vive fino al 1970 vedendo e vivendo quasi tutto il terribile ‘900 con la sua curva ciclica del salire e dello scendere, tra guerre e regimi autoritari per approdare poi al tonfo finale.

Ho scelto Ungaretti perché preferisco il poeta che spesso sente il dovere di essere lento e veloce, breve e lunghissimo e per i rimandi immaginifici che libera e che prova a far volare.

Per esempio, in Dannazione, canta in poche parole lo stato in cui vive ingabbiato il poeta tra disperazione e morte, bramando purtuttavia a Dio, senza spiegare nulla ma mostrando l’infinito in potenza di questo smarrimento e superba ambizione. Neanche Dante forse aveva osato tanto nel De Monarchia quando parla del rapporto tra angeli e uomini.

Ancora un esempio, Ungaretti in Eterno parla del cogliere e del donare, del nulla e dell’Eterno, della comunicazione (quasi) per definizione inefficace attraverso quella perfetta, puntuale, antipoetica penultima parola della poesia: inesprimibile.



Perché scrivere coprendo la propria identità? Che vantaggi e svantaggi possiede uno pseudonimo?


Se ti riferisci a Trameferite, posso dirti solo che è il titolo della pagina, non è un coprire la mia identità e non allude a pseudonimi. È sicuramente una pagina senza nome e cognome esplicito anche se ho inserito una mail, ci sono le mie iniziali. A chi mi scrive rispondo senza problemi e senza alimentare lo sciocco mistero della rete.

Aggiungo che in questa scelta c’è anche una forma di rispetto per gli unici autori che possono definirsi tali, cioè quelli che pubblicano.

Penso in particolare a quando ho iniziato a scrivere versi; ero convinto e per intenzione lo sono ancora, che le poesie che tutti dicono di scrivere o il famoso romanzo nel cassetto che abbiamo in tanti, esprimono troppo spesso una legittima ansia diaristica, legittima ma che non mi riguarda.

La letteratura che passa attraverso il lettore, si oggettivizza rispetto all’autore; concordo con Nadia Terranova, tra le scrittrici italiane più brave, quando afferma che il libro di cui si impossessa il pubblico, diventa altro rispetto a quello che l’autore ha scritto.

Per queste cose sono categorico anche verso me stesso, solo se il libro è nelle librerie, posso iniziare a considerarmi un autore.

Negli anni, soprattutto con la diffusione mondiale dello smartphone che ha diffuso la capillarità globalizzata della rete ad un livello non ipotizzabile in precedenza, la scrittura in rete è diventata anch’essa un pubblicare, complicando ancor più la situazione.

Tornando alla domanda posso dirti che nel 2012 mi sembrava normale essere in rete come sono nella vita, riservato ma pronto a interloquire senza reciproci egocentrismi.

Quando si può e si vuole, l’incontro con l’altro è decisivo, mi aiuta a comprendere meglio me stesso e il mondo che mi circonda.


I tuoi sono sempre versi d’amore, esiste altro di cui valga la pena scrivere, e vale la pena scrivere?


Domanda a cui non credo di saper rispondere, provo a dare una direzione ai miei pensieri. Alcuni miei versi parlano anche di altro, di politica, di lotta, soprattutto contro le nostre tantissime gabbie, spesso autoprodotte, del donare, di un pensiero alto ma non necessariamente religioso, però è vero che cerco di farlo per lo più attraverso il sentimento, altra parola ad alto rischio, produttrice di confusione e di approssimazione sia in letteratura che nella vita. Preciso e provo a puntualizzare meglio: scrivo versi, non solo d’amore, sempre attraverso l’emozione della parola e dell’incastro tra esse.

Prediligo la forma al contenuto, sempre, anche se si verseggia di puro amore.


Sicuramente vale la pena leggere, per questo ti chiedo dei consigli di lettura, mantenendoci, però, sul campo poetico.


Quelli che suggerisco spesso in questo periodo della mia vita, sono:

⮚ Bestia di gioia, Mariangela Gualtieri, Einaudi

⮚ Cento poesie d’amore a LadyHawke, Michele Mari, Einaudi

⮚ I sonetti, William Shakespeare, tra le tante edizioni quella di Rizzoli

⮚ Bevendo il tè con i morti, Chandra Livia Candiani, Interlinea

⮚ Foglie d’erba, Walt Whitman, Feltrinelli

⮚ È solo la voce che resta, Forugh Farrokhzad, RiccardoCondò Editore

⮚ Le poesie, Clemente Rèbora, Garzanti



Poesia e rete per te che legame hanno? Pensi che la rete abbia aggiunto o sottratto a questo genere spesso definito di nicchia? Perché hai scelto Twitter e non un altro social?


La rete, l’unica rivoluzione dagli anni ’90, ha espresso le sue potenzialità, sempre crescenti, con lo smartphone, che ha permesso ad ognuno di noi di diventare un nodo della rete stessa, con i limiti e i vincoli che questo comporta ma anche con insospettabili potenzialità: una rivoluzione tecnologica fisica e concettuale, anche se l’idea di rete è più antica e nasce probabilmente con l’uomo.

Sono convinto che la rete debba essere presa in ostaggio, conquistata, dagli umanisti. Il legame con la poesia è indiretto ma la rete, proprio per l’ampiezza degli umani che vi partecipano, rispecchia fedelmente il cosiddetto mondo reale e quindi di poesia se ne legge, al netto di pensierini poetici, sempre poca. Ho scelto Twitter perché, come accennavo prima senza vincoli, in questo caso il numero di caratteri, non c’è arte e poi anche perché nel 2012 Twitter era il social più adatto a questo tipo di utilizzo.

Ci dedichi un verso? Uno, uno solo.


Ne lascio qui alcuni di Sergej Esenin, un poeta russo che leggo di frequente.


Io mi studio, mi studio col cuore di serbare

negli occhi il fiore del ciliegio selvatico.

Solo nel ritegno i sentimenti si scaldano

quando una falla rompe il petto.


Se intendevi uno mio:


Rosa a me dedicata/

ora/

sei sola/.


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