Elena Santagata

21 nov 20229 min

Le Rubriche di Alma: Alma & Gozzano (I Appuntamento)

Breve profilo di Guido Gozzano

Guido Gozzano è ormai un classico. Non solo le sue due poesie più celebri, Le due strade e La signorina Felicita, sono presenti in quasi tutte le antologie scolastiche, ma è addirittura uno dei pochi poeti che fa la sua comparsa già nel sussidiario delle elementari, con alcune celebri filastrocche e ninna nanne per l’infanzia. Malgrado il suo nome sia noto quasi a chiunque, gli studi sulla vita e sulla produzione gozzaniana hanno oggi subito un drastico rallentamento, soprattutto se confrontati con la fortuna critica di altri poeti contemporanei. Non sono mancate, in passato, le edizioni commentate dei suoi due unici libri di poesia, La via di rifugio (1907) e i Colloqui (1911) – si ricordano quelle di Carlo Calcaterra e Alberto De Marchi (1948);[1] di Alberto De Marchi (1961)[2]; di Edoardo Sanguineti (1973);[3] di Bàrberi Squarotti (1977);[4] l’edizione critica a cura di Andrea Rocca (1980)[5]; quella commentata di Giusi Baldissone (1983);[6] quella di Elena Salibra (1993);[7] l’antologia di poesie e prose scelte di Luca Lenzini (1995)[8]; l’edizione dei soli Colloqui a cura di Marziano Guglielminetti e Mariarosa Masoero (2004)[9], e infine la recente edizione a cura di Alessandro Fo (2020)[10] – nonché alcuni studi settoriali di prose e versi.[11] Tuttavia si sente la mancanza di un aggiornamento complessivo del commento ai testi, un’esigenza già messa in luce da Rizzoli, se è vero che era stata avanzata dalla casa editrice la proposta di una nuova edizione commentata, aggiornata rispetto a quella già ben documentata a cura di Bàrberi Squarotti per la collana dei classici della BUR.

Per quanto concerne l’ambito degli studi critici di stampo monografico o biografico, il calo dell’interesse da parte degli studiosi nei confronti di Guido Gozzano è ancora più evidente: ci sono stati saggi di fondamentale importanza integralmente dedicati al poeta, come quelli di Edoardo Sanguineti[12]; Alvaro Valentini,[13] Bruno Porcelli[14]; Aurelio Benevento[15]; Marziano Guglielminetti[16]; Franco Contorbia[17]; Mariarosa Masoero[18]; Giuseppe Zaccaria[19]; Marina Paino[20]; Luciano Bossina[21], che si uniscono ai numerosi articoli, agli atti di alcuni importanti convegni in suo onore[22], ai diversi e rilevanti studi miscellanei che dedicano a Gozzano uno o più capitoli,[23] infine agli studi sulle prose indiane[24] e alle accurate edizioni delle lettere.[25]

Malgrado ciò, sembra necessario un nuovo studio integrale, più attuale, che approfondisca alcuni aspetti fondamentali della sua produzione, che sembrano non interessare il pubblico più specialistico, e allo stesso tempo riabiliti la sua immagine di uomo e di poeta, che oggi sembra quanto mai relegata ad alcuni stereotipi e a false interpretazioni. Senza contare i dati contenuti in alcune biografie, esaustive ma ormai datate[26]. Per esempio, ancora poco chiaro è il modo in cui la figura di Gozzano si collochi nel panorama intellettuale e artistico del suo tempo e discordanti sono stati i pareri dei critici a proposito della sua appartenenza o meno al filone crepuscolare. Senza contare il giudizio di chi ha visto in Gozzano il precursore della cultura pop e il massimo esponente primonovecentesco del kitsch: è vero che Gozzano è forse il poeta più caro alla tradizione popolare, ma alcuni giudizi sulla sua essenza pop si sono rivelati talvolta estremi e poco attendibili.

Quasi nulla si sa – se non tra gli affezionati al poeta – della sua personalità estroversa ed estrosa e forse ancora meno del suo istinto a “rubare” e “riscrivere” i versi altrui, un atteggiamento che è stato spesso analizzato in maniera superficiale. Infatti, dietro all’abitudine di Gozzano a “trafugare” i versi dei colleghi e collezionare tessere lessicali per costruire le sue poesie, c’è un panorama poetico e intellettuale incline di per sé a praticare il meccanismo della riscrittura e del rifacimento, a dimostrazione del fatto che l’“istinto predatorio” non è un’attitudine solo di Gozzano ma è il riflesso di uno spirito dei tempi in cui i poeti, pur sentendo la necessità di innovarsi, restano ancora legato inevitabilmente alla tradizione trado-ottocentesca.

Gozzano è dunque ancora oggi uno dei nostri poeti più amati, ma anche più negletti: il poeta da recita scolastica, da bigliettino d’auguri, così caro alla tradizione popolare e allo stesso tempo così poco considerato dai critici di poesia. Lo scopo di questo lavoro non è però solo di riabilitare la sua immagine, ma di fornire un’interpretazione della sua produzione in relazione al suo tempo e alla sua stessa vita, liberandolo da alcune catene che, ormai da anni, lo opprimono.

Anche nel caso di Guido Gozzano, come è avvenuto a Giovanni Pascoli e a Gabriele D’Annunzio, si è andato progressivamente delineando un certo profilo che oggi sembra immodificabile: Gozzano è il poeta delle «buone cose di pessimo /gusto», superficiale antiquato leggero, colui che ha cantato l’io dimesso e depresso del nuovo secolo, la vergogna d’essere poeta, l’inettitudine di chi si sente «il vero figlio del tempo suo», con «molta cultura» ma «scarso cervello», con «gusto in opere d’inchiostro» ma «scarsa morale». Si finge un inetto che suscita simpatia perché la sua penna è nata per raccontare storie frivole e disimpegnate, che fanno dimenticare i dispiaceri della vita: la vicenda della cocotte di Pegli, che bacia il bambino tra le sbarre della cancellata in ferro battuto; l’episodio genealogico che vede protagoniste la giovane nonna Speranza, adolescente nel 1840, e l’amica Carlotta Capenna, ritratte mentre suonano il piano, giocano a volano e discutono di avventure sentimentali con sullo sfondo l’antica villa degli zii; la storia della povera signorina Felicita, che attende qualcuno che la prenda in moglie, forse l’Avvocato così educato e bravo con le parole. Tutte queste storie sono vicende quotidiane e ordinarie, episodi di vita che accadono a tutti noi, tutti i giorni. Gozzano le racconta con parole semplici, versi lunghi e prosastici e un gran numero di gingilli quotidiani e superflui che fanno da sfondo alle sue ambientazioni preferite: salotti pacchiani; soffitte polverose; cucine e sale da pranzo.

È un poeta «capace di attingere a piene mani dalla quotidianità, inserendo nella poesia il dialetto, il dialogo e un acuto umorismo. Deciso a scendere dai cieli dell’empireo dannunziano per dare vita a quella che Ernesto Ferrero ha definito “un’operazione antiretorica che oggi chiameremmo “pop”».[27] Gozzano è insomma stato l’inventore del pop[28] italiano in poesia: il primo che, piegando a suo piacimento la metrica, ha riciclato vecchi temi, riammodernando con qualche “gioco di sillaba e di rima” argomenti ormai demodès.

In questo rubrica leggeremo e analizzeremo delle poesie di Gozzano, in modo da potere apprezzare a pieno tutte le complesse sfumature di un personaggio e di una poesia solo apparentemente facili. Iniziamo con la lettura della prima poesia della prima raccolta, La via del rifugio:

Trenta quaranta
 
tutto il Mondo canta
 
canta lo gallo
 
risponde la gallina... 4
 

 
Socchiusi gli occhi, sto
 
supino nel trifoglio
 
e vedo un quatrifoglio
 
che non raccoglierò. 8
 

 
Madama Colombina
 
s’affaccia alla finestra
 
con tre colombe in testa
 
passan tre fanti... 12

[p. 8 modifica]


 
Belle come la bella
 
vostra mammina, come
 
il vostro caro nome,
 
bimbe di mia sorella! 16
 

 
...su tre cavalli bianchi:
 
bianca la sella
 
bianca la donzella
 
bianco il palafreno... 20
 

 
Nel fare il giro a tondo
 
estraggono le sorti.
 
(I bei capelli corti
 
come caschetto biondo 24
 

 
rifulgono nel sole).
 
Estraggono a chi tocca
 
la sorte, in filastrocca
 
segnando le parole. 28
 

 
Socchiudo gli occhi, estranio
 
ai casi della vita.
 
Sento fra le mie dita
 
la forma del mio cranio... 32
 

 
Ma, dunque, esisto! O strano!
 
vive tra il Tutto e il Niente
 
questa cosa vivente
 
detta guidogozzano! 36
 

 
Resupino sull’erba
 
(ho detto che non voglio
 
raccorti, o quatrifoglio)
 
non penso a che mi serba 40


 
la Vita. Oh la carezza
 
dell’erba! Non agogno
 
cha la virtù del sogno:
 
l’inconsapevolezza. 44
 

 
Bimbe di mia sorella,
 
e voi, senza sapere
 
cantate al mio piacere
 
la sua favola bella. 48
 

 
Sognare. Oh quella dolce
 
Madama Colombina
 
protesa alla finestra
 
con tre colombe in testa! 52
 

 
Sognare. Oh quei tre fanti
 
su tre cavalli bianchi:
 
bianca la sella,
 
bianca la donzella! 56
 

 
Chi fu l’anima sazia
 
che tolse da un affresco
 
o da un missale il fresco
 
sogno di tanta grazia? 60
 

 
A quanti bimbi morti
 
passò di bocca in bocca
 
la bella filastrocca
 
signora delle sorti? 64
 

 
Da trecent’anni, forse,
 
da quattrocento e più
 
si canta questo canto
 
al gioco del cucù. 68


 
Socchiusi gli occhi, sto
 
supino nel trifoglio
 
e vedo un quatrifoglio
 
che non raccoglierò. 72
 

 
L’aruspice mi segue
 
con l’occhio d’una donna...
 
Ancora si prosegue
 
il canto che m’assonna. 76
 

 
Colomba colombina
 
Madama non resiste,
 
discende giù seguita
 
da venti cameriste, 80
 

 
fior d’aglio e fior d’aliso,
 
chi tocca e chi non tocca...
 
La bella filastrocca
 
si spezza d’improvviso. 84
 

 
«Una farfalla!» «Dài!
 
Dài!» — Scendon pel sentiere
 
le tre bimbe leggere
 
come paggetti gai. 88
 

 
Una Vanessa Io
 
nera come il carbone
 
aleggia in larghe rote
 
sul prato solatio, 92
 

 
ed ebra par che vada.
 
Poi — ecco — si risolve
 
e ratta sulla polvere
 
si posa della strada. 96


 
Sandra, Simona, Pina
 
silenziose a lato
 
mettonsile in agguato
 
lungh’essa la cortina. 100
 

 
Belle come la bella
 
vostra mammina, come
 
il vostro caro nome
 
bimbe di mia sorella! 104
 

 
Or la Vanessa aperta
 
indugia e abbassa l’ali
 
volgendo le sue frali
 
piccole antenne all’erta. 108
 

 
Ma prima la Simona
 
avanza ed il cappello
 
toglie ed il braccio snello
 
protende e la persona. 112
 

 
Poi con pupille intente
 
il colpo che non falla
 
cala sulla farfalla
 
rapidissimamente. 116
 

 
«Presa!» Ecco lo squillo
 
della vittoria. «Aiuto!
 
È tutta di velluto:
 
oh datemi uno spillo!» 120
 

 
«Che non ti sfugga, zitta!»
 
S’adempie la condanna
 
terribile; s’affanna
 
la vittima trafitta. 124


 
Bellissima. D’inchiostro
 
l’ali, senza ritocchi,
 
avvivate dagli occhi
 
d’un favoloso mostro. 128
 

 
«Non vuol morire!» «Lesta!
 
chè soffre ed ha rimorso!
 
Trapassale la testa!
 
Ripungila sul dorso!» 132
 

 
Non vuol morire! Oh strazio
 
d’insetto! Oh mole immensa
 
di dolore che addensa
 
il Tempo nello Spazio! 136
 

 
A che destino ignoto
 
si soffre? Va dispersa
 
la lacrima che versa
 
l’Umanità nel vuoto? 140
 

 
Colombina colombita
 
Madama non resiste:
 
discende giù seguita
 
da venti cameriste... 144
 

 
Sognare! Il sogno allenta
 
la mente che prosegue:
 
s’adagia nelle tregue
 
l’anima sonnolenta, 148
 

 
siccome quell’antico
 
brahamino del Pattarsy
 
che per racconsolarsi
 
si fissa l’umbilìco. 152


 
Socchiudo gli occhi, estranio
 
ai casi della vita;
 
sento fra le mie dita
 
la forma del mio cranio. 156
 

 
Verrà da se la cosa
 
vera chiamata Morte:
 
che giova ansimar forte
 
per l’erta faticosa? 160
 

 
Trenta quaranta
 
tutto il Mondo canta
 
canta lo gallo
 
canta la gallina... 164
 

 
La Vita? Un gioco affatto
 
degno di vituperio,
 
se si mantenga intatto
 
un qualche desiderio. 168
 

 
Un desiderio? Sto
 
supino nel trifoglio
 
e vedo un quatrifoglio
 
che non raccoglierò.


 
[1] Guido Gozzano, Opere, a cura di Carlo Calcaterra e Alberto De Marchi, Milano, Garzanti, 1948.
 
[2] Id., Poesie e prose, a cura di Alberto De Marchi, Milano, Garzanti, 1961,
 
[3] Id., Le poesie, a cura di Edoardo Sanguineti, Torino, Einaudi, 1973.
 
[4] Id., Poesie, a cura di Giorgio Bàrberi Squarotti, Milano, Rizzoli, 1977.
 
[5] Id., Tutte le poesie, a cura di Andrea Rocca, Milano, Mondadori, 1980.
 
[6] Id., Opere, a cura di Giusi Baldissone, Torino, Utet, 1983.
 
[7] Id., Tutte le poesie, a cura di Elena Salibra, Milano, Mursia, 1993.
 
[8] Id., Poesie e prose, a cura di Luca Lenzini, Milano, Feltrinelli, 1995.
 
[9] Id. I Colloqui, a cura di Marziano Guglielminetti e Mariarosa Masoero, Milano, Principato, 2004.
 
[10]Id., I Colloqui e altre poesie, a cura di Alessandro Fo, Latiano, Interno Poesie, 2020.
 
[11] Cfr. in particolare Guido Gozzano, La signorina Felicita ovvero la felicità, a cura di Edoardo Esposito, Milano, Il saggiatore, 1983.
 
[12] Edoardo Sanguineti, Indagini e letture, Torino, Einaudi, 1966.
 
[13] Alvaro Valentini, I piaceri di Gozzano, Roma, Argileto editori, 1978.
 
[14] Bruno Porcelli, Gozzano. Originalità e plagi, Bologna, Patron editore, 1974.
 
[15] Aurelio Benevento, Capitoli Gozzaniani. Critica ed esegesi, Azzate, Edizioni Otto/Novecento, 1991.
 
[16] Marziano Guglielminetti, Introduzione a Gozzano, Bari, Laterza, 1993.
 
[17] Franco Contorbia, Il sofista subalpino. Tra le carte di Guido Gozzano, Cuneo, L’arciere, 1980.
 
[18] Mariarosa Masoero, Guido Gozzano. Libri e lettere, Firenze, Olschki, 2005.
 
[19] Giuseppe Zaccaria, «Reduce dall’amore e dalla morte». Un Gozzano alle soglie del postmoderno, Novara, Interlinea, 2007.
 
[20] Marina Paino, Signore e signorine di Guido Gozzano, Pisa, ETS, 2012.
 
[21] Luciano Bossina, Lo scrittoio di Guido Gozzano. Da Omero a Nietzsche, Firenze, Olschki, 2017.
 
[22] Cfr. Guido Gozzano. I giorni, le opere. Atti del convegno nazionale di studi, Torino 26-28 ottobre 1963, Firenze, Olshki, 1964; «L’immagine di me voglio che sia». Guido Gozzano canto anni dopo, a cura di Mariarosa Masoero, Torino, Edizioni dell’Orso, 2016; Un giorno è nato. Un giorno morirà. Fonti e ragioni dell’opera di Guido Gozzano, a cura di Marilena Ceccarelli e Brunilde Maffucci, Roma, Aracne, 2020.
 
[23] In particolare, ricordo qui gli studi recenti di Valter Boggione, Contro la tentazione della nudità, in Poesia come citazione, in Poesia come citazione. Manzoni, Gozzano e dintorni, Torino, Edizioni dell’Orso, 2002, pp. 102-122, mentre tralascio alcuni interessanti contribuiti più datati, già indicati a suo tempo da Giorgio De Rienzo (Giorgio De Rienzo, Rassegna gozzaniana, «Lettere Italiane»,(1969), pp. 88-108).
 
[24] Cfr. Guido Gozzano, Nell’oriente favoloso. Lettere dall’India, Napoli, Liguori, 2014; Guido Gozzano Verso la cuna del mondo. Lettere dall’India, a cura di Roberto Carnero, Milano, Bompiani, 2008; Guido Gozzano esotico, Anzio, De Rubeis, 1996.
 
[25] Cfr. il carteggio “Gozzano-Guglielminetti” (Guido Gozzano - Amalia Guglielminetti, Lettere d’amore, a cura di Franco Contorbia, Macerata, Quodlibet, 2019), quello “Gozzano-Vallini” (Guido Gozzano, Lettere a Carlo Vallini con altri inediti, a cura di Giorgio De Rienzo, Torino, Centro studi piemontesi, 1971) e quello tra Gozzano e Ettore Colla (Guido Gozzano, Lettere dell’adolescenza a Ettore Colla, a cura di Mariarosa Masoero, Torino, Edizioni dell’Orso, 1993).
 
[26] Cfr. Wainer Vaccari, La vita e i pallidi amori di Guido Gozzano; Milano, Omnia, 1958; Giorgio De Rienzo, Guido Gozzano. Breve vita di un rispettabile bugiardo, Milano, Rizzoli, 1983; Henriette Martin, Guido Gozzano, Milano, Mursia, 1988; Lucio Lugnani, Gozzano, Firenze, La Nuova Italia, 1975.
 
[27] Cfr. l’articolo di Ilaria Dotta, la quale riprende le parole di Ernesto Ferrero, e accosta Guido Gozzano, in maniera forse troppo audace, al “poeta” contemporaneo Guido Catalano: Ilaria Dotta, Guido Catalano spiega Guido Gozzano, «La Stampa», 2 agosto 2017, reperibile online al link https://www.lastampa.it/torino/2017/08/02/news/guido-catalano-spiega-guido-gozzano 1.34430044.
 
[28] Ernesto Ferrero, Guido Gozzano, l’invenzione del pop, «La Stampa», 12 luglio 2016.

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