Novità editoriale: "La buona educazione" di Ivan Fedeli
Proponiamo alcune poesie tratte dalla nuova raccolta di Ivan Fedeli, La buona educazione (Puntoacapo Editrice), uscita ufficialmente lo scorso 15 febbraio, con prefazione di Alberto Bertoni.

(L’Elena del Settantadue)
Seduta lì per sempre il marciapiede
le sue scarpette bianche quello sguardo
sul futuro quasi non ci fosse altro
tra i riccioli e la Seicento di lato.
Aveva la luce di giugno dentro
e il silenzio delle nuvole come
a dire non si muore mai. Così
nella foto il bianco e nero di un giorno
del Settantadue e tu a pensarla ancora
sotto i tigli correre e immaginarla
per amore. Ne ricordi il nome e
il sorriso di una stagione buona
per le fragole e le partite a biglie
in spiaggia. Era il coraggio dell’età
a fare il resto quando si saltava
dai binari nei canneti e più in là
dove nessuno mai osava. Poi un bacio
sul ginocchio sbucciato e tanta vita
da conservarla per i tempi duri.
Ad oggi vorresti tenerne un po’
di lei e di allora che appartenga almeno
l’idea mentre ti vedi a sei anni e
negli occhi i suoi occhi e il rifiorire a senso
di un’estate indomabile la sua forza
giovane da non avere parole
se chiederanno i figli un domani o
tu stesso sognando vorrai sapere.
(L’incompiutezza)
Forse era un’età di mezzo né troppo
piccoli per gli sguardi belli né
troppo grandi da pensare ai cow-boy.
Così andava l’estate di domenica
noi il flipper nuovo da cinquanta lire
la noia buona di chi aspetta il turno
che presto o tardi tocca. Cose in bilico
tra gli spiccioli di mancia e il juke box
da cantarli insieme gli Abba. E si stava
in attesa delle nuvole quasi
l’afa appiattisse tutto anche il sorriso
della signora dei gelati o il fischio
del treno più in là dove scambiavano
baci e promesse giovani di leva
e ragazze innamorate da un giorno
che pensavano al silenzio, all’amore.
Poi un saluto e l’appuntamento a dopo
mentre il vento un po’ spingeva la voce
che nessuno sentiva. Si poteva
questo e altro in quel luglio da immaginare
come fosse oggi e per sempre la vita
pur nella sua incompiutezza distante
da te da me dall’idea di un tempo
definitivo che racchiude e genera
e tu non sai se ciò che è vero accade
o sia soltanto divenire l’essere
da riconoscerci a strappi, parvenze.
(La buona educazione)
L’educazione a pane e carosello
il mondo intero lì tra una palla e
il cielo. Noi si stava come all’ultimo
minuto un derby dividendo calci
e gloria prima di sognare in grande
Rocco e Gigi Riva. Erano i cortili
a fare il resto: quello con la porta
vera, un altro da mettere i giubbotti
a terra contando i passi. Qualcuno
barava un po’ allora tutta una storia
di pugni e musi lunghi in campo fino
ai tiri di punta a chi era il portiere
alla conta. Poi l’idea che Dio
doveva essere buono per forza
se si faceva gol nel mucchio aprendo
braccia e cuore al vento da dirlo
a scuola di corsa. Ma tu volevi
si fermasse il tempo quasi non bastasse
mai anche quando i tetti rubavano
pallone e gioia che si restava senza
e volavano parole da grandi
prima di mischiare le squadre ancora.
E c’era profumo di vita acerba
il senso di una partita incompiuta
che servivano gomiti e ginocchia
da campioni per arrivare in fondo.
Così sorrideva un’età golosa
di futuro, così il poster dell’Italia
in camera a portare un sonno bello
e il Monello con le foto di Pulici
firmate da dare invidia ai compagni
dell’altra classe, quelli un po’ gradassi
che vincono ma ai calci di rigore.
(Generazione)
Ci si sentiva tutti Charlie Brown
tra un aquilone in volo e la bambina
dai capelli rossi che a guardarla
proprio non si può. Si perdeva insomma
e la sconfitta in sé già era vittoria
se a sognare i sogni facevano i sogni
aggiustando il mondo nemmeno fosse
nostro. Bastava allora un bravo a scuola
il pallone a sopravvivere ai tetti
Pinocchio in tele prima di dormire
che la felicità avrebbe bussato
in giro prima o poi. Eravamo noi,
quelli abbastanza ma non troppo
dai calzoni corti in estate e a zuava
a messa spettinati nelle foto
di classe quasi la vita corresse
senza sosta. Saremmo stati eroi
campioni di fumetti e biglie figli
in essere meravigliosamente
che nessuno o niente ci avrebbe fermato.
Si farfugliava intanto chi ballando
un lento altri a braccio di ferro contro
i grandi. Servivano giorni e tanti
poi un futuro da non chiedere ma
vivere evitando bene i piedi a
terra un po’ come il pollice di Linus
l’immancabile coperta azzurra.
*
Ci perdoneranno per questo, il film
dopo carosello le barzellette
sconce i lanci di miccette a scuola?
Servivano angeli e santi in paradiso
una parola buona del bidello
quattro cinque Ave Maria a seconda
del prete. C’era quello tutto Juve
e caramelle l’altro da fuggire
via che non bastava il mondo tra noi
e lui quasi fosse un fatto di gambe
fare la pace tu e Dio. Ripassavi
i peccati dei piccoli lo sguardo
ai fumetti proibiti dal barbiere
il calcio scappato al rigore contro
in cortile. Ma i grandi chissà, forse
pensarli come si fa quando dicono
dell’anima che non muore mai e va
da qualche parte ma non si sa dove
lasciarli al tempo che sarà prima o
poi. Di sabato era troppo bastavamo
noi e il pallone al vento della Super
Tele da starci attenti a tetti e a forbici
improvvise che sbucavano qua e
là. Si sorrideva in undici allora
e ci voleva un Pater nostro forse
o forse non c’era cielo abbastanza
e si tornava a casa senza gol
in attesa di gomiti e ginocchia
sbucciate e di una domenica al sole
da perdonare peccati e anche più
dopo la messa al campetto la polvere
addosso chi sopra chi sotto cose
della vita da tenere ben care
così raccontano accada l’amore.

Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Dialoghi a distanza in Sette poeti del Premio Montale (Crocetti), Virus (ed. Dot. Com. Pres.), A margine (Ladolfi editore) e, per i tipi di puntoacapo Editrice, Campo lungo (2014, Premio “Casentino”), Gli occhiali di Sartre (2016, Premio San Domenichino, Premio “Vent’anni di Atelier”, Premio “Arcore”), La meraviglia (2018, finalista Premio “Caput Gauri”).
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