Nota di lettura a "Vora" di Mara Venuto
"Voragine" è buco che si apre nella terra o nell'acqua; è spazio prima pieno e poi d'improvviso vuoto, cavo, a seguito di un evento violento di rottura.
Ogniqualvolta ci si avvale di questo termine però, più che un baratro esterno, il nostro immaginario ci figura davanti agli occhi della mente gli sprofondamenti bui del nostro paesaggio interiore, le falle profondissime che ciascuno di noi è chiamato a evitare o ad attraversare nel corso della propria esistenza.
Chi non si è mai trovato faccia a faccia con la voragine? Chi non ha avvertito, almeno per un attimo, il desiderio di farsi da lei inghiottire?
L'epoca contemporanea, per quanto riguarda il mondo occidentale che abitiamo, ci ha portato a conoscere bene questa sensazione, a causa del sostrato fragile e frammentato che la caratterizza e la definisce, soprattutto in relazione alle generazioni più giovani, chiamate a stare in equilibrio sul filo sottile della precarietà, senza più nemmeno ad attenderle la rete dell'illusione, e colpevoli di avere rinunciato ai grandi ideali, già di fatto misconosciuti - in molti casi - dai loro genitori, dagli insegnanti o dalle forze politiche che le avrebbero dovute rappresentare.
Lo sa bene Mara Venuto che nella sua ultima pubblicazione, uscita quest'anno per Pequod, pone proprio la voragine come orizzonte spazio-temporale di riferimento, titolando la raccolta Vora, che in dialetto pugliese, come sottolinea anche Giovanni Laera nella prefazione, significa appunto "voragine", "inghiottitoio". Vora è, prima di tutto, un'opera-specchio della nostra sconcertante attualità, della quale denuncia la difficoltà di trovare strade alternative a quelle che conducono direttamente verso il fondo, ma è anche una riflessione profonda sul gap generazionale che la rivoluzione digitale ha contribuito notevolmente ad acuire e allargare; Venuto, che con Vora tocca il punto più alto della sua scrittura in versi raggiungendo un equilibrio ottimale tra resa stilistica, contenuto e coinvolgimento patemico del lettore, mette in guardia dallo scegliere continuamente la via del possibile al posto di quella del certo, perché se è vero che la prima sembra non estinguere mai le nostre ipotetiche alternative al contrario della seconda che costringe a optare per una, è altresì palese che la procastinazione continua del processo decisionale porta a non avere nulla tra le mani. La poeta, di fronte alla questione, assume una postura decisa, come sottolineano anche la mancanza di sezioni e di qualsiasi altra forma di definizione/interruzione, poiché occorre dire le cose tutte d'un fiato e chiaramente; c’è in Venuto, e ne è testimonianza anche la precedente raccolta La lingua della città (Delta3Edizioni, 2021), una necessità di denuncia, un bisogno avvertito sia come personale che come civile, di non accettare l’ingiusto, di renderlo evidente e di provare a cambiarlo, sebbene questo atteggiamento non coincida mai con un abbandono donchisciottiano all’utopia né con uno snobismo giudicante nei confronti di chi preferisce restare nella silente passività. Questo perché la scrittura – e prima ancora il pensiero – di Venuto sono ben strutturati, mossi da coscienza e consapevolezza, mai sopra le righe eppure schierati, netti.
In un mondo letterario e non dove tutto tende a confondersi, a sovrapporsi, dove l’uguaglianza promossa non è altro che omologazione, Vora, con coraggio e onestà, ci rimette davanti a noi stessi, in qualità di persone e di cittadini, di figli e di genitori, di bambini e di anziani; ci ricorda che per scampare alla voragine non possiamo voltarci dall’altra parte ma dobbiamo guardarla in faccia, studiarla, conoscerla e poi colmarla. Dobbiamo cioè rimboccarci le maniche, dobbiamo smettere di avere paura.
Un sacramento è rimasto in quel muro.
Lungo stanze di pari colore, fra odori estranei
la misura del tempo è ferma alla calza del padre
piena di carta come un pallone.
Andare a segno nella porta a vetri
femmine contro maschi senza poter danneggiare,
prima di compiacerci adolescenti in un angolo.
Votarsi a un altare dentro il portone,
crescere passando sul lato opposto della strada
con gli occhi bassi davanti ai ricordi.
Non cedere più alla giovinezza.
*
La notte non vede più.
Spezza sotto le suole esseri viventi
o capri inanimati,
frammenti di insetti o ghiande
non può saperlo.
Manca sempre il coraggio
di guardare in faccia la colpa.
*
La senti questa vora che tradisce,
sulla bocca dove cade il conto delle ore
è orma impressa e distrutta,
l’amore dei nostri deboli intenti.
Lasciarci scomparire.
All’occhio velato e a quello rapace
emergere come larva,
bozzolo che nutre la volontà.
Con i denti aggrapparci al fiore
e strappare i petali come bocconi.
*
Dove siamo nati non è dove morremo,
in fondo è una parentesi questa inclinazione,
la grandezza e la miseria
avvinte in una cellula piccola,
un’idea del vero nel quadro.
È ingombrante la tua presenza, la tua ambizione
violenta la nostra affezione alla fragilità,
alle picche sui cuori, alla danza
prima di crescere in strada
dove il nostro palcoscenico erano solo gli altri.
*
La certezza di essere salvi,
con la breccia del sangue sul pallore
si divide il marmo.
Nella frattura la radice strappata
sembrava morta,
sembrava non attecchire la solitudine.
Si cresce ignorando di proposito
le armi, cosa si nasconde dietro le cortesie,
cosa anima gli altri.
Gli altri,
una parola e la sua voragine,
una mortale separazione.
Mara Venuto è nata a Taranto nel 1978, vive a Ostuni. Tra le sue pubblicazioni premiate: i monologhi teatrali Leggimi nei pensieri (2008), The Monster (2015, testo finalista al Mario Fratti Award 2014 di New York per la drammaturgia italiana); le raccolte poetiche Gli impermeabili (2016), Questa polvere la sparge il vento (2019), La lingua della città (2021). Ha collaborato con note testate giornalistiche pugliesi, televisive, cartacee e online; in qualità di ghostwriter ed editor ha curato romanzi di grande successo per editori nazionali. Ha curato e pubblicato alcune antologie di prosa e poesia, tra cui un ciclo di volumi al femminile; è inclusa in numerose opere collettive di poesia, prosa e teatro; è presente in monografie critiche dedicate alla poesia italiana femminile contemporanea. Suoi testi originali e corti teatrali sono stati rappresentati con buon riscontro di pubblico e critica. Sue poesie sono state tradotte e pubblicate in sette lingue. È stata ospite di Festival internazionali di Poesia, tra cui: IX Festival di Poesia Slava a Varsavia nel 2016; XV Festival Trirema e poezisë Joniane a Saranda (Albania) nel 2021; XXVI Festival Ditët e Naimit a Tetova (Macedonia) nel 2022. La sua raccolta di poesie Vora in versione inedita, è menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2021; finalista al Premio di Letteratura Contemporanea Bologna in Lettere 2022; seconda classificata al III Premio Letterario nazionale Gianmario Lucini 2022.
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