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  • Immagine del redattoreMartina Toppi

Le antichità di Alma (appuntamento n°4)

LA DANZA DEL LABIRINTO: UNA RAGAZZA È MOLTO PIÙ CHE UNA STELLA


C’è una ragazza sulla spiaggia che guarda l’orizzonte: sulle sue guance ancora qualche granello di sabbia che l’umidità del mare ha impresso nella pelle, dopo la notte passata sulla riva. Arianna, i capelli lunghi mossi dal vento, le mani vuote che stringono l’aria, guarda l’orizzonte e non vede il cielo. Cerca Teseo, che su quella spiaggia l’ha lasciata nel cuore della notte, furtivo come tutte le passioni che sbiadiscono, lacerante come ogni amore che finisce. Arianna scruta il mare e ignora il cielo: ma sopra la ragazza abbandonata c’è una costellazione, cui i raggi del sole impediscono di specchiarsi tra le onde. Una stella nascosta dalla luce, che inosservata continua a brillare. Quella costellazione è essa stessa Arianna, in un altro tempo e stadio della sua esistenza: non più una ragazza sola, ma una donna fattasi stella. Come possono coesistere queste due Arianne e cosa ci dicono di noi e dei passaggi della nostra vita? Un punto di domanda essenziale, che ci guiderà in questo nuovo viaggio tra le stelle degli antichi e i quesiti dei nostri giorni condotti dai versi di un poeta che di Arianna colse diverse sfaccettature: Catullo nel suo carme 64 ai versi 132-201.


ARIANNA: LA LUMINOSISSIMA

Nell’isola su cui Arianna nasce i nomi parlano delle stelle. Nella terra arcana di Creta, infatti, non vive solo lei, il cui nome potrebbe voler dire secondo un’antica etimologia, che lo farebbe derivare da Aridela, “luminosissima”, ma c’è anche sua madre, Pasifae “tutta luce”, e suo fratello Asterio, meglio noto come il Minotauro, il cui nome significa “coperto di stelle”. L’isola di Creta sembra avere così un legame profondo con gli astri proprio a partire dalla famiglia del suo re, Minosse. Una famiglia che, in realtà, dalle stelle sembrerebbe essere stata dannata. In effetti, al cielo stellato cui questi nomi rimandano si contrappone un luogo oscuro, forse il più oscuro di tutta la mitologia greca e che proprio con questa famiglia ha a che fare: il Labirinto di Cnosso, dove il re Minosse nasconde l’orrido figlio nato dall’unione tra sua moglie Pasifae e un toro.

«Che cosa fosse il Labirinto è difficile dirlo» - commenta Giorgio Ieranò in Eroi. Le grandi saghe della mitologia greca, professore di Letteratura greca all’Università di Trento - «Noi in genere ce lo immaginiamo come un edificio dove si intrecciano infiniti corridoi, in un percorso a meandro che si raggomitola su se stesso. Ma il Labirinto è qualcosa di ancora più misterioso e indecifrabile. Prima di essere uno spazio fisico, è un luogo mistico, il centro oscuro dell’universo, la soglia enigmatica che scandisce il passaggio tra mondi diversi». Arianna, la luminosissima figlia di un re, e il buco nero dell’universo sono legati da un destino indissolubile perché è proprio tra i meandri spiraleggianti del Labirinto che la storia di Arianna inizia e di lei scopriamo un primo volto.


LA RAGAZZA DEL LABIRINTO

[…] Adesso ormai nessuna donna creda a un uomo che giura,

nessuna speri che i discorsi di un uomo siano credibili;

finché l'animo loro desidera bramoso di raggiungere qualcosa,

nulla temono di giurare, nulla risparmiano di promettere:

ma non appena la libidine della cupida mente è stata saziata,

per nulla temono le cose dette, per nulla si preoccupano degli spergiuri.

Certamente io, quando ti trovavi in mezzo al turbine della morte,

ti ho tratto in salvo, e ho deciso di perdere un fratello piuttosto

che venir meno a te, bugiardo, nel momento estremo.

In cambio di questo sarò data da sbranare a fiere ed uccelli

come preda, né, morta, sarò sepolta sotto un mucchio di terra. (Catullo, carme 64)


Secondo Károly Kerény, studioso di storia delle religioni, il Labirinto non sarebbe altro che l’immagine del regno dei morti: un luogo come una voragine spalancata per chi voglia entrarvi, ma protetto da barriere impenetrabili per chi desideri evaderne. Eppure il Labirinto di Cnosso un’uscita ce l’ha ed è Arianna – che lo studioso significativamente appella come “signora del Labirinto” – a trovarla, spinta dalla passione sfrenata per un giovane ateniese, di bell’aspetto e alti ideali, giunto in questo luogo infernale per liberare il mondo dalla mostruosità del Minotauro. Uscire dal Labirinto, questo luogo trascendentale progettato dall’umanissima mente dell’architetto di corte Dedalo, è una sfida non all’altezza di chiunque. Ma Arianna non è una principessa tra tante. Lo stratagemma che adotta per permettere a Teseo di trovare la via di uscita tra le intricate strade nere dove vive suo fratello, il Minotauro, è un filo, strumento di una saggezza atavica, quella delle donne che intessono abiti e destini mentre gli uomini viaggiano in cerca dell’avventura. Così, l’Arianna del Labirinto è in fondo una ragazza innamorata, che per salvare Teseo sa mettere in gioco quanto di più profondo la contraddistingue in questa prima fase: una femminilità casalinga, coltivata tra le mura domestiche, incerta ancora del futuro.


UN’AVVENTURIERA E UNA NAVE

[…] O Giove onnipotente, volesse il cielo che nel primo momento

le navi ateniesi non avessero toccato i lidi di Cnosso,

né portando all'indomito toro il crudele tributo

il perfido navigante avesse legato la fune a Creta,

né questo malvagio, celando col dolce aspetto le crudeli

decisioni avesse riposato da ospite nella nostra sede!

Dove potrei mai rivolgermi? A quale speranza mi appoggio, perduta?

Dovrei cercare di raggiungere i monti cretesi? Ma col suo vasto gorgo

dividendomi me ne tiene lontana la tempestosa distesa del mare.

Potrei sperare forse nell'aiuto di mio padre? Quello che io stessa ho lasciato

seguendo un giovane macchiato di sangue per l'uccisione di mio fratello? (Catullo, carme 64)


Sconfitto il Minotauro, Teseo salpa da Creta e porta con sé Arianna, che fugge dalla propria terra e dalla propria famiglia, dopo essere stata complice di un fratricidio fatto e finito. Su quella nave Arianna si libera dai vincoli famigliari e guardando le onde che impetuose lambiscono lo scafo visualizza quel coming of age che, a un certo punto, a ogni giovane tocca: il distacco dalla famiglia, la costruzione di un nuovo nucleo e di un nuovo sé. Arianna, sulla nave, è una ragazza alla ricerca: crede di aver trovato risposte in Teseo, ma i fatti la smentiranno. Quello che ancora non sa è che questo stadio di spostamento – fisico tra Creta e Atene, evolutivo tra fanciulla e donna – ha una scadenza: non può durare per sempre. Quando Catullo rielabora in versi i pensieri che dovettero passare per la mente di questa donna abbandonata dal suo grande amore, in nome del quale aveva lei stessa abbandonato tutto ciò che aveva di più caro, le mette in bocca i versi con cui si apre questo nuovo volto di Arianna: Dove potrei mai rivolgermi? A quale speranza mi appoggio, perduta?

Dovrei cercare di raggiungere i monti cretesi? L’Arianna del viaggio è persa, ma è in questo smarrimento che può realizzarsi la costruzione di una nuova Arianna, indispensabile perché la sua storia possa procedere e approdare in cielo.


LA DONNA DELLA RIVA

Così dopo avermi portata via, perfido, dalle are della mia patria,

mi hai abbandonata in un lido deserto, perfido Teseo?

Così andandotene, trascurata la legge degli dei,

immemore, ahimè! porti in patria gli spergiuri pronunciati?

Nessuna considerazione ha potuto piegare la decisione

della tua mente crudele? Nessuna clemenza è stata in te presente,

tanto che il tuo animo crudele volesse avere compassione di me?

Ma non queste promesse un tempo hai offerto con affettuosa

voce a me, non queste cose facevi sperare (a me) infelice,

ma lieto connubio, ma desiderate nozze,

cose che tutte irrealizzate i venti disperdono all'aria. (Catullo, carme 64)


Il lamento di Arianna, protagonista del carme catulliano, ha ispirato numerosi poeti, drammaturgi e musicisti in tutte le epoche: è l’archetipo della relicta, la donna abbandonata a sé stessa, lacerata da un amore finito in un pugno di sabbia. Il viaggio sulla nave di Teseo in effetti non dura a lungo e arriva a toccare l’isola di Nasso, dove l’eroe ateniese abbandona la fanciulla ancora addormentata sulla riva del mare, pronto a partire per un futuro che non la contempla più. È una scena semplice con cui quasi tutti possiamo simpatizzare e con cui Catullo senza dubbio era entrato in totale sintonia al punto da riversare sulle labbra di Arianna il proprio personale dolore per un amore non corrisposto. «Infelice Catullo, smettila di vaneggiare, e ciò che hai visto andare perduto, consideralo perso. Un tempo splendettero per te candidi soli, quando andavi ovunque la fanciulla ti conducesse» recita infatti il poeta latino nel suo carme 8. Come nel caso di Arianna, anche per lui la sofferenza deriva da una condizione di trascinamento, di cieca fiducia nell’altro che ci mette in moto verso mete idealizzate, ma non sempre così tangibili. La donna della riva è una donna tradita, così come Catullo si sente tradito da Lesbia. È una donna presa dal terrore di un futuro incerto perché fino ad allora intessuto completamente sulla figura di Teseo, ormai un’ombra lontana all’orizzonte. Una donna che ora deve riscoprire sé stessa. È questo, per Arianna, un giro di boa: uno di quei momenti della vita in cui bisogna scegliere se rimanere abbandonati sulla riva, scrutando l’orizzonte e immaginando alternative improbabili di un futuro ormai impossibile, oppure alzare gli occhi al cielo e affidarsi a sé stessi e alla propria buona stella, per ricominciare a scrivere il presente.


LA SPOSA DIVINA: ARIANNA, LA SANTISSIMA

[…] Se non ti stava a cuore il nostro matrimonio,

perché temevi gli ordini crudeli del vecchio genitore,

tuttavia avresti potuto condurmi nelle vostre sedi,

affinché quale schiava con piacevole fatica io potessi accudirti,

accarezzando con acqua limpida i tuoi candidi piedi,

oppure ricoprendo il tuo letto con veste purpurea. (Catullo, carme 64)


Arianna non sa cosa sia passato per la mente di Teseo quando il giovane ateniese l’abbandonò sulla riva dell’isola di Nasso e quest’incertezza che porta spesso l’amante abbandonato a fantasticare sulle ragioni della fine ha alimentato nei secoli la fantasia dei poeti che, tra le tante versioni dell’abbandono di Arianna, ha scritto un finale alternativo. Arianna avrebbe forse davvero alzato gli occhi al cielo in quel momento di totale sconforto e da lì una risposta, secondo alcune versioni del mito, gli sarebbe effettivamente giunta. Dioniso, il dio del vino e del teatro, è il terzo protagonista di questa tragica storia d’amore a lieto fine. Il dio sarebbe giunto sull’isola dopo la partenza di Teseo, con il suo corteo di baccanti, satiri e pantere, assolutamente incoerente rispetto allo stato d’animo della principessa affranta sulla spiaggia. Ma la bellezza di lei lo avrebbe conquistato al punto da convincerlo a farne la sua sposa. E che sposa: non la moglie che Arianna rimpiange di non essere stata proprio nei versi di Catullo qui sopra riportati, ma una sposa divina, gloriosa, protagonista di una vera e propria apoteosi cui l’etimologia alternativa del suo nome, ari-adne “la santissima”, sembrerebbe rimandare.

Dice ancora Ieranò su Arianna: «La coppia Dioniso-Arianna è l’immagine di un amore eterno. I due sposi sono raffigurati spesso nell’arte antica: bevono insieme il vino delle loro coppe, guardandosi intensamente negli occhi, come se non ci fosse null’altro al di fuori del loro sguardo reciproco, come se nel loro amore si compendiasse tutto l’universo. L’Arianna abbandonata da Teseo è l’icona del dolore, l’Arianna moglie di Dioniso è la personificazione della gioia».

L’amore che aspetta Arianna dopo l’abbandono è altro dal suo passato di fanciulla: è l’amore di una donna, di una principessa diventata non regina – come Teseo avrebbe potuto renderla – ma dea. Eppure, Arianna è umana. Come risolvere questa doppia natura che, ancora una volta, incalza questo personaggio mitico? A pensarci è proprio Dioniso, il suo sposo, che per tenerla sempre al suo fianco nelle auree stanze dell’Olimpo la consacra all’immortalità trasformandola in stella. Che il catasterismo segni il passaggio dalla mortalità all’eternità è qualcosa che già con Erigone abbiamo avuto modo di scoprire, ma qui c’è di più: la trasformazione in stella è per Arianna l’inizio di una nuova vita e non la fine di tutto. Tanto che, secondo alcuni, a garanzia di questo stato di immortalità Dioniso non avrebbe catasterizzato la sposa stessa, rimasta quindi al suo fianco, ma un oggetto simbolico in cui la donna è come incarnata: la corona. Corona luminosa, come il suo nome, che in alcune versioni del mito avrebbe guidato, insieme al filo, Teseo fuori dall’oscurità del labirinto, quasi a ricordare che, con le proprie mani e prima ancora dell’epifania di Dioniso, Arianna era riuscita a vincere la morte e a strappare il suo giovane amore dal regno infernale. Ma potrebbe trattarsi anche della corona offerta da Dioniso alla fanciulla, come dono nuziale e promessa di amore eterno, segno di una gloria riscattata. È la Corona Borealis infatti la luce che splende sopra la ragazza presentata in apertura di questa storia: una costellazione che ancora oggi ci guarda dal cielo, luminosissima e santissima.


UNA RAGAZZA, UNA STELLA E UNA DANZA: ARIANNA È IN MOVIMENTO

[…] Nessun sistema di fuga, nessuna speranza: tutto muto,

tutto è deserto, tutto fa vedere la morte.

Tuttavia lo sguardo non mi si spegnerà per la morte,

né i sensi se ne andranno dal corpo sfinito, prima

che, tradìta, io chieda agli dei la giusta punizione

e nell'estremo momento invochi la lealtà dei celesti. (Catullo, carme 64)


La figlia amata, la giovane innamorata, la ragazza in cerca di sé, l’amante abbandonata, la donna glorificata nell’amore: quanti volti di Arianna si mescolano tra le lacrime e la luce, in una sequenza mai statica, che ha poco della fredda luminosità di una stella fissa. Arianna è in movimento costante: personaggio in transizione per eccellenza, è il simbolo della vita che non si ferma e che attraversa a fatica ma con costanza ogni stadio, scoprendo dietro ogni curva qualcosa di nuovo di cui sorprendersi. Seguendo questa scia di pensieri, la Corona Boreale non può che essere la corona di Arianna e non la ragazza stessa: sarebbe impensabile cristallizzare questo personaggio vulcanico in un punto fisso dell’universo. Arianna non può essere diventata una stella semplicemente perché non si è mai fermata e in ognuno di noi c’è, ancora oggi, un po’ di lei. In ogni passo faticoso della nostra vita troppo umana c’è qualcosa della sua luce che attraversa il dolore e riscopre il potere dell’emozione. Con lei cerchiamo risposte all’insondabile mistero del Labirinto ed escogitiamo stratagemmi per sfuggirgli. Con lei ci innamoriamo e salpiamo dai porti sicuri delle nostre convinzioni, col brivido dell’avventura che ci scorre sulla schiena. Con lei soffriamo, soli e abbandonati, lo sguardo perso nell’orizzonte. Con lei speriamo nella felicità, quella corona luminosa che ci brilla sulla testa, anche quando non la possiamo vedere.

Arianna siamo noi e siamo in movimento, come Catullo aveva afferrato riempiendo il suo lamento amoroso di ogni possibilità perduta o non ancora afferrata e, proprio per questo, aperta all’evoluzione. La sua è un’Arianna immobile, ma per pochi secondi: è lo scatto che non restituisce la vita, la suggerisce. Catullo entra nelle vesti di Arianna perché ne prova il dolore, ma è quello stesso dolore a portarlo sulla spiaggia deserta dove sì si è stati abbandonati, ma anche da cui il viaggio riparte, se solo uno ha il coraggio di alzare gli occhi verso la propria stella.

C’è, infine, un mito antichissimo che riguarda Arianna e che ne sintetizza gli spostamenti continui: la danza del Labirinto. Riguarda una sosta del viaggio di Arianna e Teseo, prima della rottura, che tocca l’isola di Delo, l’isola anch’essa “luminosa” per definizione. Qui Teseo sembrerebbe aver dedicato alla sua bella fanciulla una statua e un rito per rendere grazie agli dei: si trattava di una danza in cui i ragazzi, fuggiti insieme da Creta, si tenevano legati l’uno all’altro da una corda e, con passi cadenzati dalla musica, imitavano i meandri del Labirinto che quasi li aveva inghiottiti. Una danza spiraleggiante, che fa pensare agli spostamenti dei pianeti nel cielo e che ancora oggi, in alcune parti della Grecia viene riprodotta da file serpentine di danzatori. Uomini e donne in movimento e in fuga dalla stasi mortifera del Labirinto, proprio come Arianna, quasi a ricordarci che non siamo stelle, anche se molto le stelle hanno da dire sulle nostre storie. E una domanda sorge allora spontanea, un sorriso appena accennato, ripensando ad altri tempi, altre musiche e altre parole poetiche dei nostri tempi: Are we human or are we dancers?


BIBLIOGRAFIA

Giorgio Ieranò. Eroi, Le grandi saghe della mitologia greca, Universale Economica Feltrinelli, 2020;

Giorgio Ieranò, Il mito di Arianna. Da Omero a Borges, Carocci, Roma 2007;

Karoly Kereny, Nel labirinto, Bollati Boringhieri, 2016.

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