Valentina Demuro

7 feb 20223 min

Nota di lettura a "Giaciture" di Edoardo Scipioni

Giaciture di Edoardo Scipioni (Edizioni Ensemble, 2021) è una raccolta che coinvolge con un fiume di immagini, sorprendendo a ogni parola. Il ritmo preciso della voce aiuta a mettere in luce i sobbalzi delle emozioni e attiva una sorgente di riflessioni che apre continue porte nella mente del lettore. Il flusso immaginifico della poesia di Scipioni conduce a visioni amplificate, distorte, con punti d’osservazione mobili, ma non è sregolato, è invece scandito da una precisa scelta di termini. L’impressione che si ha è quella di una costruzione multiforme, con una minuziosa selezione di elementi compositivi. In questa poesia ci sono anche molte “quasi aperture”, porte di accesso (breccia, porta rotta, sorso, punto di rottura, sfocatura) a una dimensione di non immediata definizione e fruizione che sollecita la riflessione.

Un elemento, però, si staglia con certezza come un punto fermo: è l’atto stesso dello scrivere, «Piuttosto che tra cose vive, potessi scrivere», dice il poeta, quasi aggrappandosi all’unico saldo appiglio che permetta di definire qualcosa nell’immenso mondo delle idee, di cogliere da un altrove anche l’impalpabilità dell’inesistenza «Occorre un foglio, non il / possibile a quest’ora, ma un bianco / sussurrabile di quell’altrove / terra ove il mio mancare / possa mettere altrui radici. / Unico modo di non esistere / più chiaramente». L’autore abbraccia pienamente il proprio sentire e si tiene in ascolto, esprimendosi poi in un modo composito al fine avvicinarsi maggiormente al senso e non ad altro. Per certi versi, viene da pensare alle parole di Pessoa: «L’essenziale è / saper vedere / saper vedere/ senza stare a pensare / saper vedere / quando si vede / e né pensare / quando si vede / né vedere / quanto si pensa»

L’esplorazione lirica dell’amore implica un verso più denso, come se le idee nel loro vorticare acquisissero improvvisamente un peso maggiore, una riflessione più lenta dovuta forse all’interiorizzazione del sentimento che richiede comunque necessaria un’espressione, anche se dicotomica, ossimorica: «Un altro corpo per alzarmi, sei / l’unione sciolta / a cui incollarmi / per disfare i legami.»

Ogni elemento è dunque immanente nella realtà, ma cerca una forma, anche se ontologicamente contrastante. Della poetica dell’autore colpisce molto la ricerca inesauribile che chiama all’appello tutte le percezioni per esprimere ogni cosa che è in movimento perpetuo, ma non può fare a meno di sgorgare («Che sgorghi / come sangue in eccesso/ l’organatura/ surrettizia dell’identità, / che esondi la diga / del corpo ed evapori poi») per trovare una posa, una giacitura.

Io che sono non più labbra concluse

Io che sono non più labbra concluse
 
nella propria forma, mendico l’effetto
 
ipnotico di lineamenti disciplinati
 
che alla lunga concedono abbandono
 
alla saggiatura. L’anno scorrevole stropiccia
 
nei risvegli che tralascio a seccare ma
 
nemmeno da questa ricca panoramica
 
agguanto il filo dorato, la misura nascosta
 
nella calce eolica del cielo, e quindi resto
 
a manovrare l’invisibile agonia soltanto
 
poiché risponde anche senza timone.
 
Resto la definizione, spaiata in solitudine,
 
la congettura complicata dello scollamento.

La notte scavalca d’improvviso la corda

La notte scavalca d’improvviso la corda,
 
sibila un’eccedenza di ieri nel saggiare
 
possibili giungere in punta d’immaginazione.
 
Sacrificati nelle proiezioni delle sagome
 
i riflessi a carezzare i contorni della sfera
 
snocciolano un continuum senza precedenti.
 
La serratura è costellata di tentazioni e
 
la noia tratteggia nei punti d’intervallo
 
vincolandomi in un recinto di focolai.
 
Orienta, questo nero in adagio di fronde,
 
solo le tendenze delle sue pulsazioni.
 
Nondimeno si coronano invisibili da qui,
 
eoni di falcate luminose seminandomi
 
sempre trascurato in smanie d’effusioni.

Sorgere e sgorgare

Che sgorghi
 
come sangue in eccesso
 
l’organatura
 
surrettizia dell’identità,
 
che esondi la diga
 
del corpo ed evapori poi
 
sulle sponde
 
d’altra terra martoriata
 
dal sole.
 
Sole, fratello d’eterna possanza,
 
che della volta più vergine
 
e di noi
 
scorgesti l’alba più funesta.
 
Fosti anche tu sorpreso
 
dal tuo inevitabile sorgere.

Edoardo Scipioni nasce a Busto Arsizio il 28 Dicembre del 1994. Ha pubblicato Giaciture (Ensemble, 2021). È membro della giuria nel premio Ragioni di una Poesia e vicepresidente dell’omonima associazione culturale. Alcuni suoi testi sono apparsi online su riviste e blog come Inverso Poesia, Charta Sporca e Poetarum Silva. Attualmente vive e lavora a Varese.

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