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  • Immagine del redattoreSara Vergari

I significati delle antologie: intervista a Giulia Martini

Nel 2019 è uscito il primo volume dell’antologia da te curata “Poeti italiani nati negli anni ’80 e ‘90” (Interno Poesia), che raccoglie giovani autori editi e inediti nati in questi due decenni e apre una finestra sull’ampio panorama dell’ultima poesia. Nel 2020 è stato pubblicato il secondo volume e nel 2022 il terzo, ciascuno con dodici autori e altrettanti prefatori. In questi tre anni come hai lavorato alla ricerca e alla scelta degli autori, e con quali criteri di selezione ti sei orientata?


Nei criteri di selezione precostituiti non ci credo. Quest’avventura antologica è cominciata a giugno 2018 (in corrispondenza dell’uscita di Coppie minime) per spinta di un senso di solitudine e separatezza rispetto a un contesto in cui mi ero ritrovata senza una minima idea delle persone che ne facessero parte. Tra l’altro, in quei giorni furono pubblicati i risultati del XIV Quaderno di Buffoni, cui avevo partecipato con una selezione dal libro, che non era ancora uscito: il mio nome era quasi in fondo (fra i quattordici da cui ne estrassero sette); anche questo contribuì a quel senso di esclusione e isolamento, che si alleggeriva quando venivano a cena (in via G. Monaco, a Firenze) Francesco Vasarri, Manuel Giacometti, Dimitri Milleri e Bernardo Pacini. Ci leggevamo le nostre cose, molto semplicemente. Questa ‘componente fiorentina’ che caratterizza il primo dei tre volumi mi sembra uno specchio del fatto che non si tratta di un progetto nato a tavolino, da una speculazione; ma nato a un tavolo vero (di quelli apribili, da cucina), da una pratica.

Il mio verso preferito (che emblematicamente non è un verso, stricto sensu) è diventato, da qualche mese, «soltanto il senso del noi ci fa stare un po’ meglio» di Alessandro Broggi (da Noi, Tic, 2021): mi sembra che renda bene anche la condizione in cui mi sentivo in quel momento, quando mi resi conto che la cosa che mi poteva far «stare un po’ meglio» (e quello che mi mancava) era «il senso del noi». Così mi sono messa alla ricerca non della guida di un maestro ma di alcuni “compagni di strada”, per usare quest’espressione: per rendere vero (cioè fatto da persone vere) quel contesto; reale (o almeno non de-realizzante), laddove reale equivale a relazionale.

Non si può fare della relazione un criterio di selezione, ma è stata questa spinta relazionale a determinare e orientare l’intero percorso. Com’è naturale, nell’arco dei quattro anni (giugno 2018-settembre 2022) la stoffa di questa operazione è cambiata; ma mi preme sottolineare la matrice relazionale, che oltrepassa l’oggetto-libro in quanto tale. Si sono create corrispondenze che mi danno l’impressione delle strisce rosse e bianche sul tronco degli alberi, quelle che segnalano che siamo in un percorso (e confortano di non essersi persi nel bosco).


Il dato generazionale è certamente la prima coordinata che salta all’occhio in questa selezione. Si tratta però di decenni di nascita che accomunano gli autori e non di un’unica generazione, termine che richiede una definizione più complessa del semplice fattore temporale. I poeti inclusi appartengono e provengono da luoghi diversi, scrivono in modo diverso, hanno riferimenti molteplici e variegati. Se stessimo parlando di un’antologia del Novecento ti chiederei di parlare della continuità tra autori, di correnti, di possibili nuovi canoni. Ti chiedo invece, qual è la varietà di questi autori antologizzati e in che modo le differenze possono interagire e creare un dialogo all’interno dei volumi?


Il dato generazionale è una convenzione. Quello che non è convenzionale è il gesto poetico, il fatto cioè che queste voci, che come dici giustamente hanno intonazioni diverse, siano accumunate dal fatto di esserci, di aver trovato una forma particolare di espressione: mi sembra che l’interazione, il dialogo, sia consustanziale a questo (ovvero a quello che non è convenzionale). In un certo senso, le scritture più diverse sono pensabili come le polarità di un unico asse, in cui ogni singola esecuzione trova il suo grado scalare.


Dall’altro lato, nelle prefazioni ai volumi sottolinei anche delle costanti, come i mezzi di trasporto nel primo o l’enunciazione dell’assenza, elemento continuativo. Al di là del costituire un fil rouge trai vari autori, l’analisi minuziosa della ricorrenza di oggetti poetici o di particolari campi semantici all’interno del campione antologico può rivelarci degli interessanti risvolti critici sullo stato e sulle caratteristiche della poesia di oggi. Quali conclusioni potresti trarre in proposito, a seguito della tua osservazione critica?


Più che la ricorrenza di oggetti o di particolari campi semantici (che poi, alla fine, si parla sempre delle stesse cose) mi premeva sottolineare la postura rispetto a questi temi: nello specifico degli esempi che hai fatto, si tratta del fatto che questi mezzi di trasporto vengono presi per capire e avvicinarsi, non per fuggire da una situazione, e che l’enunciazione dell’assenza non esaurisce una postura contemplativa, ma viene reinvestita in un linguaggio che tenga aperto il rapporto con il tempo. Fino a quello che mi sembra uno dei fenomeni più interessanti tra questi elementi ‘diversamente continuativi’, ovvero l’autoinvestitura: chi parla si rappresenta nell’atto di parlare o scrivere, si autodefinisce «poeta» o lascia che qualcun altro lo faccia per lui, tenta di far passare un contenuto percepito come importante nonostante le resistenze di un pubblico ostile, di un consorzio sociale che fa da ostacolo, valorizzando la dimensione etica del suo stesso gesto.


Oltre a essere uno strumento critico, l’antologia è un prodotto editoriale e di comunicazione che talvolta può rendere più fruibile la poesia, in altri casi può far scoprire nuovi autori al pubblico. Inoltre, può creare una rete e un legame che va oltre il trovarsi nello stesso luogo cartaceo, ma che diviene reale. Nelle presentazioni dei volumi, nel dialogo e dibattito che certamente si sarà creato in questi anni di lavoro, nelle risposte dei lettori, credi che lo strumento antologico oggi possa porsi come compito quello di creare interazione, di potenziare il contatto reale e lo scambio amicale tra gli attori del panorama poetico e con il suo pubblico (quando le due componenti non coincidano)?


Per me lo strumento antologico è essenzialmente questo (ma penso si fosse già capito dalla prima risposta). Nelle presentazioni che abbiamo fatto ho rimarcato più volte che si tratta di un’«antologia relazionale»; per usare una coppia minima, mi sembra che questa prospettiva (questo modo di essere nel contesto) abbia molto a che vedere con la messa in pratica di un’«ontologia relazionale»…




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