Andrea Conti
Nota di lettura a "Pietà per l’esistente" di Paolo Pera
C’è davvero da domandarsi, leggendo Pietà per l’esistente di Paolo Pera (Ensemble, 2021), se certe domande che accompagnano il discorso pubblico da qualche anno a questa parte siano davvero ben poste. Stiamo assistendo a un ritorno della censura? Di un puritanesimo travestito da progressismo inclusivo? Abbiamo oggi, in definitiva, meno libertà di parola? In un certo senso, l’esistenza stessa di questo libro risponde indirettamente a questi e ad altri quesiti simili.
La raccolta si apre con una lunga tirata in prosa, in cui l’io lirico, avvertendoci del suo «sprezzo per il mondo», si auto-raffigura dannato in Ade, che del «mondo», com’è noto, è l’opposto speculare – ossia, prevedibilmente, un luogo dove «si poteva essere politicamente scorretti, pure inaccettabili alle volte, purché sinceri!» (p. 10). Ecco emergere, allora, in punta di libro, i termini chiave di questa operazione. «Scorrettezza», «inaccettabilità», «sincerità», appunto: santa triade di un’ideologia conservatrice che vorrebbe porsi ad argine di una certa piega del presente, in cui il franare di vecchie certezze e vecchie identità sta permettendo a soggetti politici storicamente subalterni di rialzare la testa e la voce. Non si sbaglia a dire che l’autore ha inteso realizzare, di questa ideologia reazionaria, una piccola enciclopedia, una personale summa di luoghi comuni (nel senso tecnico di topoi, luoghi del discorso). È infatti possibile leggere il suo libro come un collage di cliché anti-progressisti, montati assieme senz’ombra d’ironia o straniamento.
In un’ottantina di pagine, infatti, il poeta scaglia sul lettore: invettive contro Papa Francesco («Leggevo – sul cesso – / le encicliche di papa Francesco», p. 28; «Quando parla Bergoglio / i fedeli scorreggiano», p. 30); letture dietrologiche della pandemia da Covid («il virus artificiale sembrava // uno scherzo alimentare», p. 54) unite a punte di disprezzo per le mascherine («Dio rinasce mascherina», p. 56; «Stavamo a soffocare / per amor dell’obbedienza», p. 57); stilettate velenose contro i movimenti femministi («Sciatte e smunte femministe») cui fanno seguito slogan anti-abortisti («Non è certo la Salvezza / ciò che vogliono negare, / ma semmai biasimare / una fede che condanna / l’arroganza abortista», p. 84); tirate misogine di vario tenore («Provassero a essere donne / seducendo la mascolinità, / anziché atteggiarsi / come bianche pavonesse», p. 15; «Sei di carne o plasticume, / tu che pari un manichino?», p. 85, detto di una ragazza che soffre di anoressia); messaggi di simpatia a Donald Trump (p. 81), di netta antipatia a Joe Biden (p. 82); fiumi tracimanti di xenofobia (dal Papa accusato d’esser troppo benevolo con i migranti, p. 30; a un mendicante di colore dipinto con sarcasmo feroce, p. 80; a un’invettiva contro Carola Rackete, incriminata di portare in Italia «merci nuove e nerborute», secondo il noto adagio razzista che vorrebbe i profughi africani tutti giovani e palestrati).
Come si vede, a delinearsi è una precisa fisionomia ideologica e intellettuale, che non riguarda soltanto i contenuti dei testi, ma ricade anche sulla loro forma. Tanto il registro stilistico che la qualità dell’argomentazione, infatti, sono abbassati al livello di uno sfogo immediato, pregno di sarcasmo, senza che tale abbassamento, tuttavia, conduca ad alcun sublime d’en bas, ad alcuno scarto conoscitivo. Queste poesie sono poco più che una compilazione di schede misogine, xenofobe, reazionarie, che dicono molto sullo stato di una certa retorica identitaria tipica degli ambienti di destra, ma che purtroppo non riescono a essere qualcosa di più.

Pasquinata
Quando parla Bergoglio
I fedeli scorreggiano.
Egli crede di sapere
Ciò che pensa il Signore:
«Coi migranti, è Dio
Che chiede di sbarcare!»
Dunque perché, ai centri commerciali,
Ci spillano i nostri denari?
«Chi dona ai suoi fratelli
Ha già un posto in paradiso!»
Bene! Allora perché non “doni”
Qualcosa a chi ti è vicino?
Perché ai predoni ci consegni?
«Non vedo differenze
Tra loro e voi fedeli…»
Tu, Santissimo Padre,
Non sei certo un katéchon!
A Donald J. T.
Borioso Mr. President,
T’han proprio trapanato
Il lauto posteriore…
E come puoi lottare
Se non con un legale?
Il mondo era guidato
Da quella tua Nazione,
Tu l’hai allontanata
Dai piani di conquista…
Ma ora il vecchio Joe
– Che forse ancora vive –
Ritorna a bombardare
In nome della pace!
Speriam che il suo regime
Ti spiani lo stradone
Per farti ritornare,
E pure rimediare,
A quest’egemonia!
Femen
Sciatte e smunte femministe,
Con buffe cuffiette rosa,
Abortiscono Gesù Cristo
Sul sagrato d’una chiesa.
Prelevano la Vergine
Estraendole il fardello,
Lei – beata – gli sorride
Già sapendole dannate.
Non è certo la Salvezza
Ciò che vogliono negare,
Ma semmai biasimare
Una fede che condanna
L’arroganza abortista.
L’estetica del manichino
Tu, ragazza, non sei grassa!
Perché vai a vomitare
Ogni yogurt che t’han dato
Da pappare? Temi forse
Di non starci nel vestito
Che vorresti acquistare?
T’ho vista di fronte alla vetrina:
Sognavi mica di sfilare
A Parigi o Nuova York,
Trovando un bell’Adone
Che ti faccia il paliatone
(Senza romperti le ossa…)?
Su, coraggio, dimmi adesso
Quanto credi nel tuo cuore!
Sei di carne o plasticume,
Tu che pari un manichino?

Paolo Pera è nato ad Alba (CN) il 22 giugno del 1996, diplomato in Arti Figurative, ora studente di Filosofia presso l’Università degli Studi di Torino. Nel 2020 esce la sua prima silloge poetica: La falce della decima musa, per Achille e La Tartaruga Edizioni. È anche narratore, fumettista e pittore. Collabora con diverse riviste letterarie in qualità di critico.