Nota di lettura a "Le scarpe del flâneur" di Jonathan Rizzo
Il flâneur, passeggiatore svagato e a tratti curioso che cammina per le vie cittadine osservando il paesaggio e riflettendo oziosamente su tutto ciò che vede, divenuto figura emblematica nella poesia di Charles Baudelaire, è anche elemento nucleale nella trattazione di Walter Benjamin, che in esso ravvede il simbolo della modernità e della rivoluzione industriale. Entrambe queste declinazioni confluiscono nella raccolta Le scarpe del flâneur (Ensemble 2020) di Jonathan Rizzo, che costruisce i suoi versi proprio intorno a questa rappresentazione del vagabondo di cui, come evidente già dal titolo, l’attenzione è tutta spostata sui piedi e cioè sul movimento dell’errare. L’opera di Rizzo, infatti, è caratterizzata da un elevato dinamismo tramite il quale il lettore viene accompagnato nelle vie parigine e, più in generale, nelle strade di un pensiero che vuole divincolarsi dalle maglie sottili della convenzione e di tutti gli ipse dixit. C’è in Rizzo, e lo sottolinea puntualmente Marco Incardona nell’ottima prefazione che apre la raccolta, una convivenza fruttuosa tra serio e faceto, tra rigore e irriverenza, verso la vita e verso la poesia che, in questo autore, non possono essere slegate né poste su piani differenti. Baudelaire scriveva che l’artista deve essere «un botanico del marciapiede» ovvero un fine conoscitore del mondo intorno a sé, ed è proprio in questa appartenenza viscerale dell’arte al vivere e viceversa che Rizzo pone le fondamenta della sua scrittura nella quale, accanto alla rielaborazione consapevole del dato biografico, si agita forte la volontà di esprimere il proprio parere su una società troppo lontana dall’essere un modello di giustizia, verità e bellezza. Le scarpe del flâneur offre la possibilità di tornare a riflettere sul valore e sulla funzione sociale della poesia, contestualizzata da Rizzo all’interno della realtà contemporanea, strabordante di logiche capitalistiche e processi di mercificazione. Che senso può ancora avere la poesia? Chi sono oggi i poeti? Sono queste le domande sottese a tutta la raccolta, nella quale Rizzo non nasconde pure una certa nostalgia per un tempo altro, una sorta di età dell’oro, lontanissima o mai stata, alla quale occorre però, seppur utopisticamente, volgere lo sguardo per provare a rintracciare un senso, una direzione e proseguire nella scrittura e nell’esistenza con energia e coraggio. E sono proprio questi ultimi due elementi a contraddistinguere la poesia di Rizzo, impegnato in un moto continuo da cui sarebbe buona cosa farci trascinare.
Belleville
Passeggiare senza direzione alcuna.
Vestiti a fiori sbocciati al primo sole.
Sorrido a una bambina,
lei ride,
e anch’io mi sento leggero.
Uomini scalzi
in cammino fin da lontano
hanno bisogno di respirare
pacifici paradisi ideali
di nuvole soffici.
Sacchetti di plastica
rivoli gonfi
scoppiano
sotto il peso
delle nostre automobili,
nell’indifferenza dell’universo.
Bighellono tra le bancarelle di un mercatino,
ma non compro nulla.
Anche solo un quadretto
supera il volume delle mie tasche.
Allora
appena
passeggio
tra pelle nuda
di belle ragazze luccicanti
sotto il sole gentile che sorride.
L’astro come esca
prosciuga l’umanità
dalle sue soffitte ammuffite,
dirigendo l’orchestrina
al gran ballo della leggerezza.
Assisto colpito
a uno spettacolo improvvisato,
francesi di strada
e marionette d’asfalto
urlanti
nella Tempesta shakespeariana.
Unico concentrato
tra un pubblico
distratto e annoiato.
Tempi duri per i poetici.
Ospiti
d’onore
alla sagra della primavera.
Su un vialetto senza tempo
accarezzati
dall’ombra della fronda,
fili di sogni
per vecchi cappelli
di paglia
danzanti nel vento,
come echi di giochi
per bambini curiosi.
Gli innamorati
persi in uno sguardo
accarezzano trame di seta
pettinando silenzi intensi,
come se il mondo attorno
rallentasse
fino al fermo immagine.
Tra i rami
pirati e avventurieri
solcano i mari
della fantasia,
dove si naviga senza bussola.
Curve di nude onde circondano
come teneri squali innamorati
le mie carni
e ne dilaniano le membra.
Una madre accompagna
alla vita la figlia dolcemente.
La protegge mentre
fa pipì
su un arbusto accanto
ad altre roselline.
Verde età
dove libertà
non rima con severità.
All’angolo della strada
un uomo felice suona
un organino a manovella
cantando Trenet e la Piaf.
Due bambini lo ascoltano rapiti,
lui canta sorridente
scandendo bene la voce.
Il fratello maggiore da loro
due monete luccicanti.
Il sorriso si fa largo nell’uomo,
come i giri della manopola.
I bimbi emozionati
fanno scivolare
i piccoli cerchi argentei
nel secchiello che tintinna,
e per un attimo siamo tutti felici.
Con le mani in tasche
bucate
d’amore e follia,
perso nel cielo terso,
riempito di azzurra nuvola
l’anima scivola
su alcune leggere gocce di cuore
fino a dipingere il tramonto
di perle viola.
Seven Eleven
Voglio qualcuno di mio
da accudire.
Un nuovo giglio d’amare.
Ma le persone non le puoi possedere,
questo lo devi accettare.
Meno male che nel locale
per giovani
in cui sto bevendo
a poche lire
suoni nelle aree
il primo Bob Dylan,
quello facile senza sudore.
Brucino le anime
nel fuoco del desiderio.
Le fiamme le inghiottano
con fare cupo e serio.
Si liberi il demone,
possa danzare la penna
nuda in controluce
nel crepuscolo.
Cerco un lieto fine,
ospite non abituale
tra le mie righe.
Non che la vita scriva
trame migliori,
al massimo
intrecci comici
assenti di rime e baci,
forse appena quelli fugaci.
Però ho il vocabolario
e i dadi alla mano
da far rotolare.
Numeri neri ruotiamo
in un bicchiere
dal fondo amaro.
Siamo la somma che fa sette e undici,
donne e uomini.
Fragili esseri umani,
codici binari
di un meccanismo estraneo.
Gettati in un vortice
senza regole
né logiche.
In balia dei morbidi sensi
con malia nei sordidi versi.
Gli aggettivi sono i balocchi
degli sciocchi,
imbattibile lo è il poeta
nel suo genere.
Scrivere d’amare
cercando alla cieca
tra le povere parole
il di lei odore.
La memoria e il suo decadere,
crudeli testimoni del nostro pudore.
Sette e undici vittime
della teoria del caos.
Jonathan Rizzo (Fiesole, 1981) di radici elbane, studi storici fiorentini, rinascita parigina. Ha pubblicato L’Illusione parigina (Porto Seguro, 2016); Eternamente Errando Errando (LaSignoria, 2017); La Giovinezza e altre rose sfiorite. Ritratto del poeta che fu (Ensemble, 2018); Le scarpe del Flâneur (Ensemble, 2020). Gode d’esperienza di regia e speaker radiofonico per la trasmissione “Al bar della poesia” in onda sulla web radio Garage radio nel 2020, è Curatore del programma di arte e cultura alternativa “JHONNYSBAR altre forme d’arte” sulla web tv del portale STYLISE.IT dal gennaio 2021, collaboratore/curatore per la programmazione culturale di diversi caffè letterari in Toscana ed organizzatore di happening artistici e reading poetici in tutta Italia ed in Francia. In fine Poeta performer, marinaio e nomade.
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