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Nota di lettura a "Eredità ed estinzione" di Giovanna Frene

Immagine del redattore: Sara VergariSara Vergari

Nell’ultima fatica di Giovanna Frene, Eredità ed estinzione (Donzelli, 2024), ancora in corsa tra i dodici finalisti del Premio Strega Poesia, la Storia torna finalmente ad adempiere quella funzione maieutica e di patrimonio inesauribile che si sta perdendo tanto in letteratura quanto nella vita individuale di ciascuno di noi. La Storia non è una linea del tempo puramente diacronica, ma un continuo riattualizzarsi tramite il racconto, le simbologie, le valenze che ogni evento assume nelle microstorie dei singoli uomini. Così Frene può attingere alle “Antichità romane”, titolo di una sezione, richiamando in vita una riflessione di Marco Aurelio o la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e farla seguire ai fatti di Mayerling, accaduti secoli dopo, ma che rimandano ad un’altra imminente disfatta, quella dell’Impero Austroungarico. La trama di tutti gli eventi storici, richiamati attraverso un verso lungo, narrativo e talvolta epico, seguono il file rouge della fine e della disfatta. Le rovine della Storia, sembra dirci Frene, se interpellate, sembrano predire nuove rovine come una macchina inarrestabile. L’ultima sezione, “Tecnica di sopravvivenza per l’Occidente che affonda”, arriva a fare i conti con l’oggi e insiste sul tema della sovrapposizione, quella per cui la storia di tante epoche, ridotta ad un punto, diviene un’unica e sola fine. L’apparente ossimoro iniziale del titolo spiega dunque che l’eredità lasciata dalla Storia è un avvertimento di inevitabile estinzione di ogni epoca e di ogni uomo. Non a caso, alla dimensione universale si affianca nel libro un piano individuale. Quello della sezione “Larve acquatiche”, dove le larve, tra le altre simbologie, richiamano l’infanzia dell’autrice. E infine, trai testi più importanti della raccolta, c’è l’Explicit, dedicato alla madre, la cui scomparsa viene raccontata esattamente allo stesso modo di ogni disfatta della grande Storia: «tutte le cellule morte invasero il territorio / delle cellule vive e lo conquistarono / piantando il vessillo della vittoria / sul saliente della vista».

 

Giovanna Frene, Alma Poesia, Copertina, Donzelli


Marco Aurelio a sé stesso

 

il principio su cui si fonda tutto, la persuasione del reale

sacco di carne inerme, la fortuna di non sfuggire all’ordine

percepito naturalmente, questo compiere esattamente e sempre

non ciò che si vuole, ma quello che mai sarà un bene

perpetuo o comunque non contingente, aggiunto all’evidenza che ogni fatto

è sopravanzato dalla sua stessa necessaria essenza, anche il più imberbe:

a qualsiasi natura tu appartenga non dare contraddizione

alla caduta

 

 

Mayerling (I-XXX)

 

I.

sembra che tra i parenti cooptati come spie del giovane arciduca

ci fosse anche lo zio, il re Ludwig II von Bayern,

dunque non così folle da non discernere

dove fosse il male della terra

 

 

II.

alla notizia della morte improvvisa del principe Rudolf

più di uno in Germania, a cominciare dal Kaiser, pensò che

era stata finalmente eseguita

la soluzione finale al problema ebraico

nella corte viennese

 

 

III.

nomi che non sono che nomi

nomi che non sono più niente

 

 

IV.

con la stessa sollecitudine con cui radono al suolo le città

all’erede al trono venne rasata, da morto, la barba sul mento

in barba ai precetti inerenti alla sacralità della persona reale

nell’immaginario collettivo doveva imprimersi

 

l’ovale di un volto innocente

momentaneamente deceduto

 

[…]


Giovanna Frene (Ph. Dino Ignani)

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