Nota di lettura a "Defrost" di Diletta D'Angelo
La prima raccolta di poesie di Diletta D’angelo, Defrost (Interno poesia), è un corpo definito che ritaglia il proprio spazio. C’è narrazione, ci sono fili che si perdono e riprendono in una metrica ora impastata ora veloce, dai versi lunghi concatenati in sineddochi e metonimie. Come scrive in nota al testo Alberto Bertoni «il risultato, oggi rarissimo, è che Diletta D’Angelo è prima di ogni altra considerazione un’autrice davvero originale, entro il panorama della poesia di oggi».
Defrost, divisa sapientemente nelle sezioni Anamnesi, Auscultazioni, Incisioni e Anatomie, è uno scavo nella genealogia familiare e medica, declinate spesso nel senso del trauma e della psiche. La capacità di invertire il medium osservato-osservante, di unire i due piani della gabbia animale e della colonia familiare, di ribaltare la scatologia dello sguardo e coniugarla a dinamiche propriamente post-umane, sono solo alcune delle riuscite di quest’opera.
Carmen Gallo scrive, nell’ampia nota a fine raccolta, a proposito del titolo che «non poteva essere più adatto per questa ricerca poetica che usa la poesia come forma di conoscenza del sé e della realtà, a partire dalla ricognizione di ricordi-fratture, di traumi-contusioni, che si consumano in uno spazio connotato, la casa-famiglia, oggetto di una costante trasfigurazione che attinge al mondo animale e soprattutto all’immagine della gabbia».
Un linguaggio che è un continuo insistere sul meccanismo (de)generativo delle immagini; «Capita che piccole falene sboccino da buchi nelle porte/ che sopravvivano durante la fase larvale in strette gallerie /scavate con la bocca/ che fatte a pezzi […]»; il loro essere pervasive richiama gestualità schizofreniche, oggetti e corpi strumentali alterati dall’isotopia medica.
L’analisi fredda e razionale di un "terzo occhio", quello dell’io lirico, che attraverso sintagmi ferrosi riesce a far convergere esperienze del quotidiano e del trauma in un foro comune – una cruna inquietante.
Defrost è sia una planimetria familiare, dove lo sguardo analitico tenta di ordinare e scrutare un senso possibile, animalizzandolo per istinti, sia rimando a un’esperienza altra, bestiale e polimorfa, a cui l’autrice sembra suggerire di aprirsi come forma di conoscenza.
Passare attraverso una genealogia del dolore che lascia scorticati forse, ma certo più lucidi.

Nel pomeriggio del 13 settembre milleottocentoquarantotto, nella Contea di Windsor,
un operaio statunitense nato l’otto o il nove luglio faceva esplodere la roccia
che bloccava il passaggio della linea ferroviaria. Schizzò in aria il ferro di pigiatura
gli attraversò la parte anteriore della testa. Dopo pochi minuti era di nuovo cosciente.
Phineas Gage poteva parlare. Ma la personalità aveva subito trasformazioni radicali.
Era intrattabile, in preda ad alti e bassi, incline alla blasfemia, gli amici
non sapevano riconoscerlo, era un altro, lo tradivano.
La violenza proteiforme genera falle nei sistemi, provoca
paure secondarie, faglie insanabili.
Come Gage, mia sorella non è morta dopo l’impatto. Per simpatia l’urto è risuonato
in ogni cosa, ha portato a vasocostrizioni diffuse, fasi di congelamento.
FREEZING II
Mi hanno insegnato ad avere paura
delle cose che possono capitare:
dormire con gli elastici ai polsi; accarezzare gli animali
degli altri; storcere gli occhi; sporgersi troppo dalle finestre; ingoiare
prosciutto e uova sode; attraversare la strada davanti casa;
camminare sul marciapiede
Tonino era un altro animale in gabbia (pestato deriso/ abbandonato in un sacchetto), non urtava nei fatti /nessuno, solo scompigliava l’aria il suo respiro di/diverso. Erano sassate ricevute per noia della gabbia/sentita da tutti riconosciuta soltanto da chi ne aveva/scoperto la porta d’uscita e poi ci era rientrato.
FREEZING III
Ho imparato a separare i chiodi dalle viti a riconoscere
tenaglia, cagna, pappagallo e altri giochi
di ruggine (non devi sbagliare per vincere)
trovare la cosa giusta, portarla a destinazione per un altro flagello
il premio: non pensarli piantati
nella testa o conficcati
tra i denti

Diletta D’Angelo nasce a Pescara nel 1997 e consegue la Laurea Magistrale in Italianistica, culture letterarie europee e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna. Nel 2019 viene selezionata come autrice emergente per "RicercaBO-Laboratorio di nuove scritture" a cura di Renato Barilli, Niva Lorenzini e Gabriele Pedullà. Tra il 2019 e il 2020 è segretaria e collaboratrice del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Nel 2021 vince il concorso "Esordi" di Pordenonelegge. Nello stesso anno inizia la sua collaborazione con la casa editrice Industria&Letteratura come social media manager. Nel 2022 vince il premio "Ritratti di Poesia. si stampi". È tra i fondatori del progetto "Lo Spazio Letterario" e attualmente cura l'ufficio stampa di Interno poesia.
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