Nota di lettura a "C'è un fuoco da portare" di Christian Tito
C'è un fuoco da portare di Christian Tito edito per i tipi di Pietre Vive nel 2022, 120 pagg., prefazione di Giusi Drago è una raccolta di poesie scelte tra edite e inedite, con la curatela dalla redazione del blog Perigeion. Il poeta scomparso nel 2018 aveva un legame di forte amicizia con i redattori e di vivo scambio poetico. La poesia di Tito, che in questo libro mostra la crescita artistica e stilistica, arriva saggia e sganciata dalle logiche dell'abuso della parola a fini puramente egoistici: «L’unica carriera alla quale sono interessato è quella umana», si legge. Una poesia attenta alla realtà, alla vita contingente, forse attitudine o lezione appresa dal maestro Luigi Di Ruscio, col quale aveva avuto un proficuo rapporto umano, un nutrito scambio epistolare. È anche poesia familiare, nel senso di parola che cura ma anche di versi che si offrono ai figli, a loro danno attenzione o svelamento del segreto, e poi la dedica alla moglie, al padre tanto stimato. È soprattutto poesia etica ma anche una poesia d'amore perché si rende viva nel racconto delle persone, le mostra nelle proprie fragilità. Nei versi di Christian Tito coabitano incanto e crudezza, la durezza dell'adultità e la magia che rimane dall'infanzia del suo io: «Io credo che chi ride dei sogni d’un bambino sia un potenziale omicida» oppure «Io credo che la più grande distanza tra il sogno e la realtà sia l’azione». La poesia di Tito è un incontro per chi «esiste, resiste, trasforma» nel mezzo di un'umanità colta nell'aspetto più spietato, un'umanità che brucia nella scelta di soluzioni aspre e decisive per la sopravvivenza; eppure in questo disequilibrio Tito scrive: «C’è un fuoco da portare, / da passarci di mano, / da restituire alla terra.», una luce che possa illuminare nonostante la spinta del singolo a scansare ogni dolore. Perigeion, unitamente all’editore, fa dono ai lettori di un viaggio poetico ben riuscito, un percorso in versi che ci restituisce la voce di un poeta, e si sa che i poeti non muoiono mai, mai smettono di cantare soprattutto se hanno un «fuoco da portare».
Ti daranno infinite occasioni per piegarti
e tu non ti piegare,
basterà uno sguardo a certe facce
per sentire minacciata la tua fede,
ma tu credi, credi sempre figlio mio,
e non credere che ogni credo poi non muti,
ma dentro quel mutare qualcosa si conserva:
quel passarci dentro agli occhi un po’ di luce,
quel dirti a bassa voce solamente che ci siamo,
che per te volevamo solo esserci
e, miracolosamente,
nel miracolo della tua vita,
per un po’
ci siamo stati.
*
Quando ero bambino
ho incrociato solo maestri stanchi
tra i banchi guardavo le gambe
delle bimbe più belle,
l’aria era fuori la finestra.
Oggi mi chiedi com’è che respiriamo,
che succede al cibo che mangiamo
cosa è l’ossigeno, come arriva al cervello
e come è veramente fatto un cuore
guardi con sospetto
quello che ti fanno disegnare
quando ti ascolto, mi dico
tu sei la risposta, la migliore
fra tutte quelle che io
non ho avuto
e per risponderti dico:
se manca l’aria
apri la finestra.
*
Meglio saperla
tutta la forza,
tutta la fragilità
se vuoi che si plasmi
in forma d’uomo il tuo viso.
Allora nella notte non perderti d’animo,
nel chiarore resta sempre vigile.
C’è un fuoco da portare,
da passarci di mano,
da restituire alla terra.
ED IO
Non credo in un solo Dio
Padre onnipotente,
credo in un Dio solo,
amaramente stanco, impotente,
per tutte le offese visibili e invisibili;
per avere creduto in noi,
ciecamente.
*
Forse noi no, ma lo sanno i nostri corpi
della violenza imposta su di tutti
lo sa bene la pelle
che si sfalda in mille croste
e le nostre colonne e le vertebre e i dischi
che tentano la fuga persino dalle ossa,
ne hanno forte percezione i nostri stomaci
bucati dagli acidi in eccesso
non esagerava il poeta nell’esporre le sevizie,
la merda ingoiata per il piacere dei mostri.
Forse voi no, ma io so cosa compriamo
per mettere tutto a tacere,
come si usa la chimica
sulla coscienza dei corpi,
come spegniamo la luce ai bambini
quando hanno ancora gli occhi aperti.
*
Le parole non sono belle
non possono esserlo
mai
non amo le parole
amo ciò che le parole possono dire,
quello che devono
e come lo dicono
per questo, semplicemente,
ogni giorno mi chiedo:
quanti uomini posso amare?
per questo, semplicemente,
poiché amo tutti gli uomini,
di uomini ne amo pochissimi.
Christian Tito (Taranto, 1975 – Milano, 2018), poesta, scrittore film maker, musicista, “farmartista” (come amava definirsi), divulgatore e scopritore di poesia, a Milano (dove viveva e lavorava), Bologna (dove ha studiato) e altrove. Tra le sue pubblicazioni: Dell’essere umani (Manni, 2005); Tutti questi ossicini nel piatto (Zona, 2010); il romanzo epistolare scritto insieme a Luigi Di Ruscio Lettere dal mondo offeso (L’arcolaio, 2014); Ai nuovi nati (I fiori di torchio, 2016). È stato tra i fondatori e redattori del blog di poesia e arte contemporanea “perìgeion”.
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