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Immagine del redattoreMario Saccomanno

Nota di lettura a "Anche quando è malora" di Carlo Giacobbi

Ogni verso presente in Anche quando è malora (Arcipelago Itaca Edizioni, 2023) di Carlo Giacobbi si immerge negli umori sprigionati dalle zone ombrose della quotidianità. L’autore non si avvale di una bateia attraverso cui discernere le parole più lucenti per costruire la sua poetica. Tutt’altro: le varie composizioni risultano essere in primo luogo schiaffi, graffi e, tutt’al più, si vedrà, fredde carezze.

Gli scorci esistenziali in cui va a insinuarsi la poesia sono scatti del vissuto che danno la possibilità di comprendere come, in determinati contesti, nel sopraggiungere del dissesto, ci sia un «mondo ancora là». Di conseguenza, è solo la «parola cruda» (come si legge fin dall’Epigrafe in cui Giacobbi si affida alla poetessa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel nel 1996) che riesce a descrivere con maggiore chiarezza quella condizione di crisi totale che pervade l’agire del singolo e che molte volte trova un nitido riflesso nello stretto orizzonte in cui quel determinato individuo si trova ad agire.

Ed è su questo aspetto che risulta proficuo insistere: gli squarci che conformano le pagine del testo sono segnati da innumerevoli cenni di compresenza e di appartenenza, in cui chi, di volta in volta, compie l’azione dialoga, entra in contatto e sovente si riconosce nell’altro, diventando a tutti gli effetti un elemento di un gruppo che, più che famiglia, è clan. Da questo punto di vista si veda la struggente poesia numero 14 in cui la malora, con coraggio, viene urlata a squarciagola. Da lì, subentra il riconoscersi, l’essere parte di quegli incasinati, così come recita la dedica. Ecco i versi conclusivi della composizione a cui si sta facendo riferimento: «tranquilla, le faccio / ce l’abbiamo dentro tutti quel grido / sei del clan // tu almeno il fegato ce l’hai di bestemmiarlo / vuoi le stelle ti scottino nel sangue vivaddio».

Nota di lettura a "Anche quando è malora" di Carlo Giacobbi. La denominazione, tanto intrinseca quanto estrinseca, in cui il singolo, come si è visto, anche (o, forse, soprattutto) nel momento del ristagno, o, peggio, del disfacimento, si relazione con altri soggetti, permette di aggiungere note a un determinato concetto, il cui contenuto è per forza di cose frammentato.

Arricchire la conoscenza, compiere una manovra di estensione attraverso l’alfabeto poetico sembra essere un bisogno primario che si pone alla base dell’incessante transito che sottendono i versi di Giacobbi. Negli innumerevoli resoconti della sterilità del formicolio si percepisce il peso del determinismo e, va da sé, il suo essere intimamente connesso (e in contrasto) col tema della libertà.

Cercare in tutti i modi di non ubbidire ai principi di causa dettati dalla contemporaneità, le cui immagini contenute in Anche quando è malora sono innumerevoli, non porta comunque a emanciparsi a una serie di vicende che, sebbene all’apparenza possano risultare sconnesse, sono a tutti gli effetti concatenate. Da qui, non a caso, il bisogno di Giacobbi di far leva sulla numerazione nelle composizioni della raccolta.

Dunque: si tratta di una poesia che non chiede redenzione, che mastica continuamente l’accaduto e che, infine, ne sputa in faccia un resoconto frammentario. Quest’ultimo, passo dopo passo, costruisce il peso dell’unità. Inoltre, a conclusione, è opportuno riferire come in questo processo ci si rivolga spesso anche a Dio. È un bisogno che cerca di opporsi in qualche modo a quel determinismo che, in un destino ineluttabile, coincide nel fatalismo.

In tutto questo, non ci sono demoni interiori, non c’è traccia di voci ammonitrici che personificano in qualche modo il divino. Il resoconto poetico dell’autore è una ricerca nel fango, è il bisogno di pietà (così come viene espresso nella conclusione della settima composizione). L’urgenza di compartecipazione che trasuda dalla lettura della raccolta di Giacobbi è il riflesso di un transitare che chiede comprensione, che reclama vita.


Carlo Giacobbi, Alma Poesia, Copertina

i matti sono i santi di Dio, mi dico

i suoi poeti


ha nella lingua l’estro d’un surrealista


oggi il cielo borbotta le spade

le banane arrosto

ma a Roma, però, a Roma


ne ridono

io m’appunto le immagini ardite

gli scarti dal dire di grado zero


forse devo farmi vedere, non so


*


le birre di lui

sistemate nel carrello


– e che le trovi aprendo il frigo al rientro –


non ha volto dietro gli occhiali da eclisse


labbro fatto violapesto

dalla fiondata delle nocche

di chissà quale manrovescio


dirà che è caduta

o che nel buio ha preso di taglio

l’anta d’un pensile lasciato aperto


*


il silenzio artico del giorno

nelle steppe metropolitane che attraversiamo


barba folta, inargentata

dalla prima luce gelata


ascolta cuore artigliato da quali ambasce del risveglio

la muta nenia che alberga

nella diaccia esistenza di ognuno


o prova a fiatare ti amo, vita balorda

anche se mi dilani


e di più voglio amarti e per dispetto

anche se non mi ami



Carlo Giacobbi, Alma Poesia

Carlo Giacobbi è nato a Rieti nel 1974. Nella città natale risiede e lavora. Ha manifestato, sin dalla prima giovinezza, interesse per la poesia, la letteratura, il teatro, la musica ed il canto. Primo classificato in diversi concorsi di poesia, nazionali ed internazionali. Finalista al Premio Montano 2021. Sue poesie sono comparse in antologie e blog letterari. È nella redazione di Arcipelago Itaca editore e di Versante Ripido. Scrive recensioni su sillogi poetiche. Ha tenuto corsi di introduzione alla scrittura poetica e incontri letterari con gli alunni delle scuole superiori. Partecipa a reading di poesia. Ha pubblicato, tra gli altri, Abitare il transito (Arcipelago Itaca, 2021) e da ultimo Vicende e chiarimenti (Puntoacapo, 2022).


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