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Immagine del redattoreLuca Gamberini

Nota di lettura a "50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti" di Alessandra Carnaroli

Contundente credo che sarebbe l’aggettivo più adatto per raccontare l’effetto dirompente di questo lavoro poetico. Spesso con il termine grottesco si tende a dare un giudizio negativo su qualcosa. Tuttavia, se andiamo a leggere meglio sul vocabolario troviamo questo dettato: «Deforme e innaturale, paradossale e inspiegabile, tale da suscitare reazioni contrastanti (dal riso all’indignazione)». Se dunque si prova a rileggere – perché 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti (Einaudi 2021) necessita quantomeno di due letture – i testi di Carnaroli, troviamo non soltanto un immaginario macabro-quotidiano di tentativi di suicidio di casalinghe più o meno disperate, ma un’analisi puntuale della quotidiana distonia tra i nostri tentativi e i loro fallimenti, in qualsiasi ambito li si voglia collocare. Premesso che dopo aver letto queste poesie rivedremo sotto tutt’altra luce qualsiasi strumento di uso domestico, è necessario focalizzare l’attenzione sull’oltre-semantico di ogni singolo componimento, perché è lì che l’arte poetica di Carnaroli emerge spregiudicata e terribile, come solo una poetessa di alto, altissimo livello, sa fare. Perché Carnaroli sa benissimo districarsi nell’intrico del terribile. Lo fa con una perizia e una maestria per nulla banali. Perché non si tratta di 50+50 aforismi, battute spiritose, o barzellette al limite del grottesco-sarcastico. Ma di poesia. E questo non va mai dimenticato, nonostante il titolo tra il pop e l’ammiccante che, pur convincente, potrebbe far pensare ad altro. Che altro invece non è.



Non c’è alcuna noiosa ripetitività nelle 50+50 poesie. Non è affatto un circolo chiuso o fine a sé stesso. Sono 50+50 – non sfumature, si è già dato abbastanza risalto a questo inopinato sostantivo – ritratti di quotidiano che oscillano tra la vita e la morte.

Prendo questo testo, che è il tentativo di suicidio n.5:


chiedo malattia terminale

melanoma almeno macchia sospetta

sul tallone dove batte l’adidas

in promozione

di un numero più piccolo

del mio reale dolore.


Sbeffeggiare in un colpo solo i ricercatori di malattia su Google, dove causa pandemia ci siamo tutti ritrovati a cercare notizie in merito e, allo stesso tempo, far passare il messaggio di quanto poi però le cose importanti della vita siano delle banalissime scarpe griffate ma in promozione, mette in luce la difficile coesistenza di uno spirito consumistico e di uno spirito etico nello stesso corpo. Perché di fatto, alla resa dei conti, il dolore non c’è, non è reale, è minimale. Enfatizzare per sdrammatizzare. Questa è poesia. Come nel tentativo di suicidio n.18:


penzolare dalla trave

che mio padre

ha aiutato a costruire

i muratori

scelti

dall’ingegnere

premio

ditta miglior cantiere



L’epilogo graffiante mette in luce la meritoria qualità dell’agente, se così si vuole definire, del tentato suicidio. Una dicotomia vita-morte che corre sul filo della mancata esecuzione e che in questo richiama il concetto pirandelliano di umorismo. Il quale emerge ancora più fortemente nella seconda parte della silloge, laddove assistiamo a un ribaltamento di senso nei confronti di oggetti di uso quotidiano, domestico, apparentemente innocui. Oggetto contundente n.3 :


una cornice

d’argento dove prima

c’era tuo babbo che ti teneva

per un braccio

eri vestita di bianco

con un mazzolino

scialbo di fiori

ridi

non sapevo ancora

come gridi



All’apparenza si tratta di una banalissima rima: ridi/gridi.

Eppure, in questo suono è racchiuso tutto il senso drammatico di questo testo. Un oggetto comune, comunissimo anzi, una cornice che racchiude peraltro un gesto dolce, un momento famigliare, diventa potenziale strumento di rabbia, violenza, dolore. Terrificante e straordinario allo stesso tempo. Ecco perché è alla poesia che occorre sempre tornare, perché è nel lessico poetico che si manifesta la padronanza della lingua di Carnaroli.

Oggetto contundente n.19 :


il barattolo

dei pelati appoggiato sul piano

da lavoro della cucina

ancora chiuso

che nessuno

ha voglia di mangiare

si sa nella carneficina.



Altra scena domestica. Una cena, un pranzo. Carne, come quella si potrebbe mangiare a cena. Un barattolo di pelati. Un sugo. Un tavolo di lavoro in cucina pieno di attrezzi. Magari coltelli. Ritratto di violenza, apparentemente innocua ma non per questo meno letale. E quell’ultima immagine, la voglia di mangiare nella carneficina, quasi disgustoso ma così indelebile nella memoria del lettore. Che deve così rileggere il testo che lo ha appena incatenato. Perché è questa la sensazione che si prova concludendo la nuova silloge di Carnaroli.

Potentissima e disarmante. Per quanto di armi ne faccia un continuo parlare, senza mai nominarle direttamente. Poesia.


Alessandra Carnaroli (1979) è una maestra di scuola dell'infanzia. Ha Pubblicato: una silloge in 1° non singolo (sette poeti italiani) con una nota di A. Nove (Oèdipus, 2006), Taglio intimo (Fara editore, 2001), Femminimondo, con una nota di T.Ottonieri (Polimata, 2011), Elsamatta, collana «Syn. Scritture di ricerca» diretta da Marco Giovenale (ikonaLíber, 2015), Primine, con una nota di A. Cortellessa (edizioni del verri, 2017) Ex-voto, collana croma K diretta da I. Schiavone (Oèdipus, 2017), Sespersa, con una nota di H. Janeczek (Vydia editore, 2018), In caso di smarrimento / riportare a, con prefazione di Silvia De March, (Il Canneto editore, 2019), Poesie con Katana (Miraggi Edizioni 2019) e 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti (Einaudi 2021) sono le sue pubblicazioni più recenti. È stata finalista del Premio A. Delfini nel 2005 con la raccolta Scartata e nel 2013 con Annamatta e del premio Miosotis 2011 (d’If edizioni) con Prec’arie. Prose e racconti sono inclusi in diverse antologie, riviste e pubblicazioni online. Una sezione monografica sul suo lavoro è stata pubblicata sul n. 65 de il verri (ottobre 2017).

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