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«Non contieni più l’aria»: recensione a "La condizione dell’orma" di Daniele Giustolisi

  • Immagine del redattore: Emanuele Andrea Spano
    Emanuele Andrea Spano
  • 13 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

La condizione dell’orma di Daniele Giustolisi, uscito per Italic Pequod all’inizio del 2025, è uno di quei libri che potrebbe, almeno a una prima e fugace lettura, trarre in inganno. Sì perché l’elemento del “nostos”, così caro a tanta letteratura, il tema archetipico del viaggio, con tutto il suo bagaglio di fascinazioni e suggestioni, lo scavo dentro i luoghi – e dentro se stessi attraverso quei luoghi – potrebbero all’apparenza farci pensare a qualcosa di già visto, seppur in altre declinazioni, e farci cedere alla tentazione di lasciarci accarezzare solo dalla precisione millimetrica della scrittura, badando poco a quanto si celi nel profondo di questo libro. Se si dovesse allora guardare dentro al testo con più attenzione, muovendosi tra le tante sezioni, talvolta anche minime, che lo compongono, spostandosi dalle terzine calibratissime alle strofe più distese fino alle pagine di taccuino, undici in totale, che interrompono – e amplificano al tempo stesso – la poesia di Giustolisi, ci si accorgerebbe che la parabola di questo libro è interamente racchiusa tra due parole chiave, che ricorrono con una certa ostinazione lungo le pagine: “nome” e “orma”. Vero, il termine “orma” è lì nel titolo, e qualcosa vorrà dire, come è vero che “orma” tradisce un legame con i luoghi, eppure nella tessitura di questa raccolta “orma” è parola polisemica: è il segno lasciato sulla terra, la nostra impronta dentro i mondi che viviamo e abbiamo vissuto, ma è pure la traccia di noi che lasciamo, che trasmettiamo come un’eredità, un lascito, come di padre in figlio, o in figlia, come nel caso del poeta, quella figlia che fin dal suo concepimento incarna «l’orma diradata» del mondo di chi l’ha generata. Ma l’orma è pure qualcosa di evanescente, di intangibile, il segno di qualcosa che sta dietro o sta oltre, che evapora e scompare come l’erba che si stenta a trovare sotto la coltre leggera di neve che imbianca, per una volta, le coste della Sicilia.

Daniele Giustolisi Copertina Alma Poesia

E il nome poi, così come l’orma, richiama una fitta rete di significati, il nome è un “sigillo”, come recita una delle brevi sezioni di questo libro, che definisce e delimita un confine, un recinto appunto e anche una salvezza – “porto d’ogni nome”, scrive il poeta, ancora come titolo di un’altra sezione – è l’invocazione con cui si chiama al mondo e alla vita che arriva prima della vita stessa, se si pensa alla figlia che ha un nome prima ancora di un respiro, è tanto un singolare, quanto un plurale che racchiude dentro la propria etimologia una qualche appartenenza a una famiglia, a una stirpe e, per osmosi, pure a un mondo e a un luogo.

Ecco, il serbatoio di significati e di sensi che si dipanano in questo libro si muove tra questi due poli, in una continua sospensione tra una dimensione certa e reale, per quanto ricostruita talvolta attraverso il filo delle memorie, e una eterea, insondabile continuamente sottesa alla parola di Giustolisi, in un universo liquido che pare raccontarci l’idea di un confine e di un limite da un lato e dall’altro il travalicamento possibile, o forse auspicabile, di quel confine. Un universo liquido appunto che trova nell’elemento acquatico una sua dimensione che sia il liquido amniotico dei primi versi che quasi sborda nella corsia dell’ospedale una volta che quel nome ha trovato la vita o quel mare a cui guarda quella costa orientale della Sicilia che trova il suo confine in quell’altra terra che si stende a pochi chilometri da lei.

E in tutto ciò il gesto del poeta non ci pare così dissimile da quello di Sarino che per tutta la vita ha dipinto vedute della sua Castelmola, cercando di intrappolare quel mondo o forse di interpretare un mistero che stava dietro, da qualche parte, e alla fine, dopo la sua morte, ha fatto un ritratto della moglie scomparsa, come a dirci che forse il mistero non è interpretabile e che forse l’orma svanisce o si dilegua e che i nomi restano solo sulle lapidi, ma l’amore resta e va conservato, anche dalla parola.


Daniele Giustolisi, Alma Poesia

Daniele Giustolisi è nato a Catania nel 1989 e vive a Bologna. In versi ha pubblicato Se scendevi per strada (Capire edizioni, 2019) con cui ha vinto il Premio Le stanze del tempo. Si occupa da sempre di arti figurative, musica e letteratura. Oltre a contributi di critica letteraria e di arte su ClanDestino, Nuova Ciminera, AlmaPoesia, ha pubblicato, in saggistica, L’officina del vivere: attraverso il Diario di Angelo Fiore (Centro Studi Angelo Fiore, 2018) e Alla finestra. Sguardi, soglie, fratture tra pittura e cinema (Industria&Letteratura, 2023). Collabora con il Centro di poesia contemporanea di Catania. Ha inciso dischi in ambito rock, metal e jazz come batterista e percussionista.

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