Le antichità di Alma (appuntamento n°8)
Aggiornamento: 20 apr 2023
«ISOLE, MIE BIOGRAFIE TRANSITORIE». RECENSIONE A “LA TRAMA DI ELENA” DI FRANCESCA SENSINI
«Alla fine, le domande che sollevo sono le mie radici che si sollevano, si scuotono la terra di dosso e se ne vanno per il mondo. I Greci lo sanno molto bene. Forse perché loro mi hanno sognata per primi mentre io li facevo nascere, partorendo il figlio che ho chiamato Elleno».
Le parole sono di Elena. Non solo di Elena di Troia, o di Elena di Sparta, neppure solo del suo fantasma che viaggia sul mare della Storia. Elena, un nome, come dice lei stessa, di tante donne, è un filo di matassa nera-violacea srotolato ovunque il cui capo però vibra tra le dita di una sola. La voce che prende corpo nella scrittura di Francesca Sensini, autrice de La trama di Elena (Ponte alle Grazie, 2023), è tutte le Elene insieme e allo stesso tempo nessuna di quelle che avete conosciuto prima di leggere questo libro. È un’Elena mitologica per eccellenza, che in un’unica voce riecheggia le tante versioni del mito senza mai tradire la natura di questa forma di narrazione ancestrale, che si rigenera ogni volta che lo necessita. Elena è la donna più conosciuta del mito, la più bramata e la più odiata di tutte; eppure, è anche quella con meno voce e meno spazio nella nostra cultura contemporanea e nelle sue riletture del mito antico. Mentre le varie Circe e Penelope e Arianna e Medea si agitano nelle nostre vite ora come moniti e ora come modelli, Elena se ne sta ferma, immobile; è un salice coi capelli scossi dal vento in un cono d’ombra, mentre intorno ogni storia è irrorata dalla stessa luce che da lei emana.
Il lavoro di Sensini nasce quindi come risposta a questa più o meno cosciente esclusione di Elena. Sarà colpa dei suoi pensieri impenetrabili come il marmo, che viaggiano a una velocità diversa da quella cui noi umani siamo abituati: fili di pensiero così rapidi da apparire immobili, mai turbati dallo scorrere del tempo. «La mia tranquillità, in effetti, - scrive Sensini, ma a parlare è la donna del mito – esigeva silenzi che mi tenevano in disparte dai giochi, lontana dalla gente, facendomi passare per insensibile ed egoista, perché dicevo no alle insistenze dei miei fratelli e di Clitemnestra stessa, che avevano bisogno di me per far numero dentro uno dei loro movimentati passatempi, perché dimenticavo di rispondere alle frasi fatte degli adulti e riprodurre convenevoli che trovavo noiosi, mentre accumulavo, muta, tesori di visioni, insieme alle parole che le traducevano meglio».
Parlare di Elena, anzi lasciare che sia Elena a parlare allora è rivoluzione, ma è anche ritorno all’origine; delle donne lei è la prima, una protos euretes (“primo inventore”) come direbbero i Greci, che ha segnato per sempre il concetto stesso della femminilità. Sensini lo sa quando affonda la sua penna sognante nel magma di visioni e storie che si annidano in quel cuore nato da un uovo di cigno; da lì l’autrice trae una prosa liminale, che fa l’occhiolino alla poesia senza mai spaventare il lettore. Attraversando “La trama di Elena” la sensazione è quella di emergere una cellula alla volta dalle crepe dell’uovo tinto d’azzurro da cui la semidea stessa è nata; insieme a lei sembra di poter scorgere, a ogni secondo di questa infinita venuta alla luce, uno spicchio nuovo di cielo. Generazione, meraviglia, nascita: sono tutte glorie che questa donna dalle mille avventure porta con sé. Noi però tendiamo a ricordarne una sola, illudendoci perfino che in quell’unico filo della trama si possa trovare un senso statico e perenne.
Elena è per la coscienza occidentale solo la traditrice, solo la più bella di tutte, solo colei che si fece rapire e portare a Troia. Come se potesse bastare. Nelle infinite storie di Elena, tutto in realtà si gioca sulla bellezza e sulla corporeità. È quindi questa una storia che andava riportata sulle nostre pagine e nei nostri pensieri in un tempo in cui, tra tutto, il corpo è ciò che di più svalutato esista. È nostra l’era della maledizione della bellezza e non tanto, come ci piace pensare, di quegli Achei che per una donna solcarono i mari e si fecero la guerra. Loro del mistero avevano una concezione ben più lucida di noi. Viviamo in un’epoca in cui si cerca in ogni dove la bellezza, pur negando a ogni approdo la missione e perdendosi in tutto ciò che la mostra solo di riflesso. Ma la bellezza, e soprattutto la bellezza di Elena, come rivela Sensini, non può essere trovata fermandosi, non può essere riflessa, costruita e artefatta. Va costantemente indata in piccole schegge di tempo: sotto un chiaro di luna, tra le foglie di un platano dove rotola la pioggia, in un piede che sfugge dietro una tenda, in uno sguardo dall’alto delle mura. «Vedere Elena è chiedere la luna e ottenerla. Sono la più bella di tutte, la più desiderabile e necessaria, perché so prendere la forma del desiderio di chi mi sta di fronte. Sono una e infinite donne, unica e nessuna. Solo un volto vuoto può esprimere la mia bellezza». In un’epoca in cui tutto sembra possibile e già reale, la rivoluzione di Sensini che scrive di Elena è lasciare spazio al desiderio, ricordarci che per cercare questa bellezza senza volto occorre avere il coraggio di desiderarla e immaginare ciò che non c’è.
La consapevolezza a tratti sgarbata con cui Sensini permette al flusso di pensieri di questa donna del mito di prendere forma sulla pagina è poi tale da far tenerezza. È una novità: Elena è stata maledetta, desiderata, glorificata, divinizzata, ma mai ascoltata. Eppure, nella sua trama riassume le grazie e le pene che tante di noi devono e dovranno attraversare; ecco perché serve coraggio per parlare di Elena. Serve rivoluzione per pensare che il corpo, la bellezza, la sacralità dei desideri possano tornare a essere il centro di un discorso sull’umanità che sfati i miti e riporti alla concreta essenza di ciò che ci muove, alle viscere calde e ai sentimenti intrecciati sul telaio. «Ma il mio tradimento è un’opera di modernizzazione, un salto di civiltà… Il mio tradimento opera una ridefinizione dello spazio, disponendo in modo nuovo gli elementi che lo animano». Perché se è vero che il mito antico parla sempre all’oggi, più rischioso è leggere ciò che è stato alla luce del presente: è così che ci si inganna pensando che gli eroi siano i nostri vicini di casa, è così che la ricerca del senso si arresta. Piuttosto ci tocca accettare il tradimento di Elena come un dato che non può essere giudicato, tantomeno compreso. Non tutto, ci mostrano i miti antichi, può essere stretto tra le mani e plasmato.
Ma veniamo a noi e al tema di questa stagione de “Le antichità di Alma”: il viaggio. Elena viaggia? Non solo, Elena viaggia e cambia ed è proprio viaggiando che ci mostra come il nostro corpo sia al tempo stesso parte imprescindibile della nostra essenza e forma costante del cambiamento. Il corpo di Elena e il modo in cui gli altri al suo corpo si relazionano viene prima del suo nome, al punto che molti in tre millenni di storia arriveranno a chiamarla “la donna dai molti mariti”. La nomea sorge già quando sono solo due, ma tanto basta per definire l’eccezionalità di una donna che non riesce a essere contenuta in alcuna regola umana. E non tanto perché una parte di lei è femminile, ma proprio a causa di quanto in lei non ha nulla a che fare con l’umano. La sacralità di Elena è un corpo di una bellezza senza possibilità di descrizione: chi prova a dipingerlo, ottiene solo un volto bianco, la forma scarna di una pietra neutra.
Ma come emerge dalle pagine di Sensini, quello di Elena è anche un corpo che muta agli occhi di chi ha l’onore e l’onere di amarla. Così Elena fanciulla a Sparta è un’atleta muscolosa, cosparsa di olio, nuda sotto il chiarore della luna, quando la vede Teseo e decide di rapirla per averla con sé. Ma poi Elena, tornata a Sparta, sceglie un altro uomo come sposo: non il più bello, né il più forte o glorioso, un giovane dai capelli rossi con il quale sedersi sotto un platano, in giardino, e chiacchierare.
Menelao è il vero amore di Elena nella narrazione che Sensini ci offre perché è quello che più di ogni altro capisce di essere definito dalla scelta di lei e di non poter mai definire lei sulla base di una propria scelta. Agli occhi di Menelao, Elena è come Penelope (mostrandoci peraltro che ognuna di noi a proprio modo può essere Penelope): la sposa che dimostra l’amore ogni giorno con i propri gesti. Certo, Elena non lo fa restando, ma facendo ritorno come le rondini, che pure solcano il mondo per lunghe stagioni. Elena è per Menelao la ricamatrice che tesse senza mai disfare, che imbroglia e crea scombussolamenti lì dove i fili si sovrappongono, sempre cosciente della necessità di una trama. «Con il suo naturale buon senso, capace talvolta di farsi ingegnoso, il re aveva capito che doveva seguirmi fuori dalla reggia, se voleva ritrovarsi con me ogni tanto. Fuori, in effetti, la presenza perentoria del mio albero mi ingiungeva di posarmi con l’autorità della sua poderosa, linfatica solitudine. La luce che ne scarniva i contorni, l’equilibrio del suo espandersi in lungo e in largo su di noi, rendeva la mia noia una sensazione carnale, una svogliatezza dolcemente triste... Là trovavamo parole appropriate e sempre nuovi argomenti».
E poi c’è la Elena di Paride: un’Afrodite ancestrale, una dea fenicia capace di sedurre anche il più selvaggio dei pastori, Alessandro, di cui il principe di Troia ancora porta il nome. Elena per lui e per la città della Troade è fiamma, così come Paride stesso era apparso ardente nei sogni della madre Ecuba. Ed è proprio tra le fiamme di Troia che la bellezza di Elena si mostra nuovamente a Menelao per quello che è: sacra, imperscrutabile. Ma c’è anche Elena del sogno e della gloria, Elena inverosimile ma non per questo meno reale: Elena di Achille. «Ci siamo amati da lontano, parlandoci nel sonno, nei songi che entrano nella carne e danno i brividi. Il nostro incontro si è realizzato solo quando abbiamo potuto infine ritrovare noi stessi, dopo la morte su questo pianeta, quando il destino è diventato un guardarsi indietro dal futuro; un futuro fuori dalla vita umana».
Attraversando la Grecia con la memoria per ricondurci presso i tanti uomini che ha amato, Elena gioca a carte scoperte. Ci dice chiaramente cosa siano il mito e la Grecia: rispettivamente «un sogno collettivo» e un suo parto d’amore, quello per un giardiniere barbaro su cui il suo sguardo divino è scivolato in un pomeriggio sull’isola di Creta. «Sono come una spiaggia che prima si stendeva ai piedi di rocce bionde e terra rossa, tra una macchia di pini d’Aleppo e di ginepri fenici in pose sghembe, e che a poco a poco il cambiamento delle correnti, la costruzione di nuove banchine in un porto non lontano hanno quasi cancellato; o un terremoto ha nascosto e reso inaccessibile. Ma io la so trovare, e ci so tornare» dice Elena di sé e al tempo stesso ci dice anche qualcosa di importante sul mito antico che è bene non dimenticare. Trattare la narrazione mitologica dimenticandoci quanto di sacro, impenetrabile, incomparabile porta con sé, implica tradirne l’essenza; Elena è un superlativo che non può essere messo a confronto con altre donne, ma al tempo stesso contiene in sé i superlativi di tutte loro. Così il mito, che non può diventare un riflesso trasparente delle nostre vite di oggi, ma che, nella sua totale distanza da queste, riesce comunque a contenerle tutte.
In Elena e nel mito possiamo ricercare quella spiaggia, sulle carte geografiche della Storia e del presente, dove le storie di ieri e di oggi e di domani si sovrappongono come i fili della trama che da tre millenni la donna più bella di tutte non ha smesso di tessere. Il mito, ci insegna Elena, non è un volto in cui riconoscersi identici, ma un viaggio da intraprendere per scoprirci diversi e indefinibili.
E forse serve sempre guardare un po’ più in là per capire: «Come le isole del Mediterraneo non sono bastate agli Elleni nel corso della loro storia, così non bastano a me. Sulle mie carte è indicata una rotta verso l’Oceano Pacifico, più precisamente verso l’arcipelago di Hawai’i. Le terre emerse più isolate del pianeta, una Grecia eruttata dalla pelle infuocata di Gea in un mare più aperto. Una altra guerra di Troia. Pochi giorni invece di dieci anni. Lo stesso massacro». Per capire – e questo è certo – occorre partire, voltare pagina. Fate così e al vostro ritorno la biografia transitoria di Elena vi sembrerà più limpida e più confusa che mai. Se non questo, qual è il potere del mito antico?
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